Gli invasori tedeschi e i loro alleati fascisti della Repubblica di Salò hanno ucciso in Italia almeno 23.461 civili in un totale di 5.428 episodi grandi e piccoli fra l’8 settembre del 1943 al 30 aprile ’45: il 61% avvenne per mano dei nazisti, il 19% per quella dei fascisti italiani dell’Rsi e il 14% in operazioni congiunte.
I dati, finora non noti nella loro completezza e capillarità, sono il frutto di oltre due anni di lavoro di 122 ricercatori per conto di 60 associazioni, in stretta collaborazione fra Italia e Germania, che ha dato vita all’ “Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia 19431945”, presentato oggi alla Farnesina alla presenza, fra gli altri, dell’ambasciatrice tedesca in Italia, Susanne Marianne WasumRainer. Atlante che a partire da domani, 7 aprile, sarà consultabile online (www.straginazifasciste.it) in italiano, tedesco e inglese. Migliaia di nomi e cognomi, di storie, di responsabili, di ricordi personali ha detto il Direttore Generale per l’Ue della Farnesina, Giuseppe Buccino Grimaldi “finalmente sottratti all’oblio”, in un “sistema coerente, organico e scientifico, che ci restituisce una ricostruzione completa e non più a macchia di leopardo” delle stragi compiute durante l’occupazione. L’ambasciatrice WasumRainer ha ricordando il lavoro della Commissione storica italotedesca, che ha presentato il suo rapporto alla Farnesina nel dicembre 2012 e sulla cui base si è innestato il lavoro sull’Atlante. La ricerca ha spiegato il direttore scientifico dei lavori, lo storico Paolo Pezzino ha censito a uno a uno, con una scheda individuale corredata di materiale informativo, immagini e testimonianze, tutti gli episodi in cui sia stato ucciso almeno un civile: dove per ‘civile’ si è deciso di intendere chiunque non avesse un’arma al momento dell’uccisione (quindi anche partigiani non morti in combattimento ma dopo la cattura). E se i partigiani uccisi sono stati in tutto 6.776, altri 12.581 del totale di 23.461 erano civili nel senso pieno della parola. Le regioni che hanno dato il maggiore tributo di sangue sono state Toscana (4.465 morti) ed Emilia Romagna (4.313). Sull’ Appennino toscoemiliano infatti si sono verificati gli episodi più noti, come Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema e Padule di Fucecchio. Seguono Piemonte (2.792), Veneto (2.383), Campania (1.409), Friuli Venezia Giulia (1.076), Lazio (1.035, l’episodio più clamoroso, le Fosse Ardeatine), Lombardia (1.024) e Abruzzo, le cui vicende erano meno note (903). Il picco massimo del sangue è stato toccato l’estate del 1944. Quanto al contesto dei singoli casi, nel 30% dei casi si trattava d’un rastrellamento (28% delle vittime) e solo nel 17% di una rappresaglia, ma con un 27% delle vittime. Il 13% delle uccisioni è avvenuto durante operazioni di “terra bruciata” durante una ritirata. Quanto alle vittime dei fascisti repubblichini, nella maggior parte dei casi si trattava di “renitenti alla leva”, in parte minore di “disertori” e solo in minoranza di partigiani e antifascisti. Nel 19% dei casi le esecuzioni e le stragi sono avvenute per autonoma iniziativa dei fascisti, senza collaborazione dei tedeschi: si tratta di “italiani che hanno ucciso altri italiani” disarmati. “Perché ha detto Pezzino anche la Rsi aveva una sua politica di violenza”.