Messo in luce un nuovo bersaglio per terapie in grado di ‘disinnescare’ i sintomi del morbo di Parkinson. Gli scienziati dei Gladstone Institutes, infatti, hanno identificato una proteina che aggrava i sintomi della malattia. Una scoperta che potrebbe condurre a nuovi trattamenti per i milioni di persone che soffrono di questa devastante malattia neurodegenerativa.
In un articolo pubblicato online su ‘Neuron’, Anatol Kreitzer e Talia Lerner (dell’Universita’ della California a San Francisco), descrivono come funziona la proteina Rgs4: normalmente aiuta a regolare l’attivita’ dei neuroni nello striato, la parte del cervello che controlla i movimenti. Ma in modelli sperimentali di morbo di Parkinson si e’ visto che la proteina fa l’esatto contrario, contribuendo ai problemi motori. Il risultato e’ un deterioramento di movimento e della coordinazione motoria, sintomi distintivi della malattia che colpisce nel mondo piu’ di 10 milioni di persone, tra cui il pugile Muhammad Ali e l’attore Michael J.Fox.Gli scienziati sanno da tempo che il calo di dopamina, una sostanza chimica importante nel cervello, e’ associato con il Parkinson. E per decenni i pazienti hanno assunto un farmaco, la levodopa, per aumentare i livelli di dopamina nel cervello. Purtroppo, pero’, l’efficacia del farmaco si attenua con il progredire della malattia. Cosi’ la ricerca si e’ concentrata su nuovi bersagli di strategie terapeutiche. “La nostra scoperta che Rgs4 puo’ giocare un ruolo nello sviluppo dei sintomi di Parkinson, ci aiuta a gettare le basi per una nuova strategia di cura”, scrivono i ricercatori. A far ‘impazzire’ la proteina e’, in effetti, proprio il calo della dopamina. Il team cosi’ ha trattato dei topi privi Rgs4 con una sostanza chimica che abbassa i livelli di dopamina, simulando gli effetti del Parkinson e confrontando poi il comportamento di questi animali con quello di altri roditori modello della malattia ma con la proteina intatta. Ebbene, questi ultimi avevano grossi problemi di movimento. Gli altri, invece, riuscivano a compiere movimenti fluidi e coordinati senza grossi problemi, nonostante i piu’ bassi livelli di dopamina. “Abbiamo messo in luce un meccanismo finora sconosciuto”, rilevano i ricercatori. “Siamo ottimisti: il nostro lavoro potrebbe aprire la strada a un’alternativa alla levodopa”, concludono.