Titus Andronicus, considerata la più violenta e sanguinosa tragedia shakespeariana, è frequentemente stata oggetto di rappresentazioni, e lo scalpore che può provocare oggi è sicuramente minimo rispetto a quello che correva tra il pubblico dell’epoca vittoriana. Dopo aver lavorato su Otello e Amleto,

la Piccola Compagnia della Magnolia chiude con TITUS. Studio sulle Radici, in scena al Teatro Elicantropo di Napoli da giovedì 8 marzo 2012 alle ore 21.00 (repliche fino a domenica 11), la sua personale trilogia sui testi del Bardo, offrendo una suggestiva rilettura della sanguinaria saga dell’imperatore romano. Quest’allestimento arriva in un periodo di domande, s’insinua in un momento carico di interrogativi sul ruolo dell’arte, di una giovane compagnia, sulla necessità di parlare dell’uomo moderno con la convinzione, sempre più radicata, che i grandi autori del passato debbano soffiare sulla ricerca dell’oggi. “Stiamo compiendo – spiega la regista Giorgia Cerruti – un percorso dal 2004 a oggi, e ogni spettacolo è per noi una tappa che raccoglie cosa siamo in quel dato momento del percorso.

La Trilogia rappresenta una transizione, un passaggio verso la volontà di rischiare, di non accondiscendere per forza al coup de théâtre, di non imporre spasmodicamente allo spettatore qualche soluzione scioccante o di facile lusinga per sfruttare un presunto spirito dei tempi”. La cifra stilistica di TITUS. Studio sulle Radici si lascia attraversare da una volontà interpretativa che affronta l’oggi con una salda certezza: ciò da cui trae ispirazione deve costituire un ponte che dia nuovo respiro alla creazione contemporanea. I grandi del passato sono il punto di partenza per una ricerca che si adatta ai tempi di oggi.

In scena il solo Davide Giglio, circondato da uno spazio scenico nudo e scarno, dove regnano i rapporti di sangue, in un caleidoscopio di facce care e amate, a ridar linfa a quelle radici, legate al senso del tempo, che riportano alla percezione inevitabile della fine, e quindi della morte. Attraverso un’estetica antinaturalistica, con tutta l’illusione propria del teatro, si cerca la chiave di volta che dischiuda quelle verità, che, attraverso e oltre Shakespeare, possano suscitare, nonostante quell’illusione non solo del teatro ma anche della realtà stessa, il senso dei legami di sangue, la lotta permanente tra l’uomo e la follia, tra la vendetta e il perdono. Fra rancori e rimpianti, odio e amore, morte e istinto alla vita, che inevitabilmente la vendetta porta con sè, fra ragioni di stato e ragioni di famiglia, si dispiega sul palco l’iperbolico viaggio di un uomo, sfinito dalla vita stessa, dalle proprie scelte, dai propri errori.

 

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