di Riccardo D’Antonio
In settimana, il governo ha nuovamente rivendicato il successo conseguito nel ridurre lo “spread” tra i titoli italiani e i titoli tedeschi e nel restaurare la fiducia dei mercati verso il nostro Paese. Purtroppo, il governo, in modo molto poco tecnico, ma molto italiano,
ha prontamente colto l’occasione per arrogarsi un merito senza utilizzare alcuna prudenza, che proprio a causa della delicatezza della situazione sarebbe stata quantomeno opportuna. Le avvertenze che a mio avviso il governo avrebbe dovuto utilizzare nel discutere del problema sono essenzialmente tre:
1) Il costo del debito è sceso ANCHE (se non soprattutto) per il massiccio intervento della Banca Centrale Europea che ha letteralmente inondato il mercato di denaro fresco e sostanzialmente gratuito per le banche. Infatti, le banche grazie a due successive operazioni di “rifinanziamento” della BCE possono usufruire per i prossimi 3 anni di 1,000 miliardi di euro circa al costo simbolico dell’1% l’anno. Ovviamente, questo ha sortito un immediato effetto benefico, ma tutt’altro che risolutivo (come in effetti dimostrato anche dal caso greco e in misura minore dai casi portoghesi e irlandesi), sulla crisi dei debiti sovrani.
2) Le prospettive di crescita dell’Italia dall’ultima manovra “salva-Italia” di dicembre sono tutt’altro che migliorate, anzi, forse anche a causa dell’aumento della pressione fiscale, sono diventate più pessimistiche. Per il 2012, a fronte della previsione del governo di una contrazione del PIL di circa l’1%, le ultime stime, tra cui quelle del Fondo Monetario Internazionale, parlano di una riduzione tra il 2,2 e il 4%. Con questi dati sarà davvero dura raggiungere il prospettato pareggio di bilancio nel 2013, senza ulteriori interventi correttivi (anzi l’aumento dell’IVA a settembre dal 21% al 23% è ormai scontato e non più semplicemente una “possibilità” come annunciato all’inizio).
3) La spinta rinnovatrice e riformista che avrebbe dovuto essere la vera marcia in più del governo, il denominatore comune con cui ricompattare tutte le forze politiche e costruire un consenso per traghettare l’Italia fuori dalla crisi, si è già praticamente esaurita. Il governo dopo aver fatto approvare il decreto Salva-Italia nel giro di 2 settimane (forse un record) è fermo da quasi 3 mesi sul decreto Cresci-Italia, di cui ormai non si ricordano nemmeno più i punti salienti e che ormai è stato, secondo lo scrivente, già svuotato del suo significato dal momento in cui sono iniziati i vari mercanteggiamenti tra governo, forze politiche e interessi corporativi o costituiti.
Il punto fondamentale è che l’Italia per liberarsi dello spettro dei mercati e del peso del suo debito deve in ogni modo tornare a crescere in modo significativo e soprattutto costante. Uno dei punti da cui partire è sicuramente un miglioramento della legislazione che regola il lavoro, ma le forze politiche, sindacali e di governo invece da oltre 2 mesi non fanno altro che discutere dell’articolo 18 e di come la sua presenza, assenza o riforma consentirebbe uno sviluppo migliore del mercato del lavoro e di conseguenza dell’economia.
A me, invece, sembra un finto problema: usando una metafora botanica è come se si discutesse del modo migliore per potare una pianta, ma non si sia ancora provveduto a scegliere il vaso in cui piantarla, il terriccio e le sementi da usare, ad innaffiarla e concimarla per vederla sbocciare e crescere. Senza pianta è inutile parlare della potatura. Continuando la metafora, il vaso sono le infrastrutture necessarie all’economia (strade, porti, comunicazioni, etc); il terriccio sono le la burocrazia e il sistema giudiziario, prerequisiti necessari a qualunque progetto di sviluppo; le sementi è la politica industriale da intraprendere (la cui totale assenza dovrebbe francamente essere forse il primo punto di un governo tecnico); il concime e l’acqua sono un sistema imprenditoriale serio e non parassitario e una forza lavoro qualificata (anche da un’adeguata preparazione scolastica).
Va benissimo decidere come si debba affrontare la potatura, ma credo che sia più urgente e serio affrontare anche il resto delle tematiche, partendo magari dalle famose liberalizzazione fittizie promosse dal governo. Ma temo che chiedere di attuarle sia come gridare alla luna o lottare contro i mulini a vento: da dicembre, si sono perse perfino le tracce della riforma dei taxi.
Ma se un governo non riesce nemmeno a mettere in atto la riforma dei taxi, come si può pensare che attui un’incisiva lotta alla corruzione o faccia tutto il resto? A questo punto non mi stupisce che perfino i “tecnici” stiano contendendosi le ospitate e le interviste in tv, ormai anche loro hanno capito che “il potere logora solo chi non ce l’ha”. E oggi sono quasi 60 milioni di italiani a logorarsi giorno dopo giorno.
dantonio@campanianotizie.com