Mentre Israele, Danimarca, Ungheria e Cile sono già all’opera, e Germania, Francia e Regno Unito ormai da mesi si preparano ad una nuova appendice della campagna vaccinale, sulla possibilità di somministrare una quarta dose di vaccino anti-Covid l’agenzia europea per i medicinali invece frena. Secondo la direttrice dell’Ema, Emer Cook, serve infatti «una discussione più strategica su quali tipi di vaccini potrebbero essere necessari a lungo termine per gestire adeguatamente» l’emergenza. Ed è anche per questo che ieri, al termine del seminario della Coalizione internazionale delle autorità di regolamentazione dei medicinali (guidata proprio dall’Ema, assieme alla Fda americana), ha sottolineato come prima di approvare un «vaccino aggiornato» e tarato sulle varianti del virus, sono «necessari i dati clinici». Che, tradotto, vuol dire che potrebbe servire molto più tempo per averli in commercio rispetto a quanto lasciato intendere dalle aziende farmaceutiche nei giorni scorsi hanno parlato della primavera. Le dichiarazioni di Cook rimarcano quanto già affermato in conferenza stampa martedì scorso da Marco Cavaleri, responsabile per i vaccini dell’Ema: «Non abbiamo ancora visto i dati sulla quarta dose» di vaccino anti-Covid, e «Siamo abbastanza preoccupati per una strategia che preveda vaccinazioni ripetute in un lasso di tempo breve. Non possiamo continuare a dare dosi di richiamo ogni tre o quattro mesi». Una preoccupazione condivisa dall’intero mondo scientifico che guarda i governi, come già per la terza dose, navigare un po’ a vista, in assenza di dati.
«Il problema, non lo dice solo l’Ema, è che un vaccino ha un ciclo vaccinale composto in prima battuta da una o due dosi e poi, eventualmente, da dei richiami – spiega Roberto Cauda, docente di Malattie infettive all’università Cattolica di Roma – Ma il fatto che vi siano richiami a 4 mesi, pone dubbi sulla sostenibilità». Chiaramente non dal punto di vista economico o organizzativo, ma clinico: «Potrebbe infatti verificarsi un esaurimento della risposta immunitaria dovuta ad un eccesso di stimolazione». Si incapperebbe cioè in una paralisi immunitaria. Uno scenario questo, assolutamente non certo. I dubbi, del resto, sono sempre legittimi. Anche quando l’estate scorsa si è iniziato a ragionare sull’opportunità di una terza dose, sono state fatte valutazioni simili. «È solo una possibilità» continua ancora Cauda, da qualche mese consulente proprio dell’Ema. «Per questo bisogna vedere un po’ l’evoluzione di Omicron, studiare i dati clinici delle somministrazioni e quelli dei vaccini aggiornati in arrivo». In più, e questa è la posizione che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha preso con forza già per quanto riguarda il booster, la strategia che prevede la somministrazione ogni 3-4 mesi nel mondo occidentale, finirebbe con l’essere penalizzante per il resto dei Paesi. Un’eventualità che come ha mostrato il costante insorgere delle varianti – il più delle volte arrivate da Paesi poco vaccinati – alla fine penalizza tutto il globo. «È probabile che i programmi con le dosi booster generalizzate prolunghino la pandemia invece di porre fine» alla diffusione del Covid, ha spiegato infatti qualche giorno fa il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus. «Dove però i vaccini non arrivano il virus circola e può mutare, fino a produrre nuove varianti come Omicron», per questo «la priorità globale deve essere quella di aiutare tutti i paesi a raggiungere l’obiettivo del 40% di vaccinati il più rapidamente possibile e l’obiettivo del 70% entro la metà del prossimo anno».