«Assurdamente bassa» dice l’Ufficio studi di Confcommercio a proposito della partecipazione delle donne del Sud al mercato del lavoro. E c’è poco da discutere di fronte ai dati che il team di ricercatori guidati da Mariano Bella ha diffuso proprio ieri: il tasso di occupazione femminile nella fascia 15-64 anni nel Mezzogiorno «è precipitato al 33%», quasi 30 punti in meno del Centro-Nord (59,2%) e 30 esatti rispetto alla media Ue a 27, il 63%. L’aspetto più grave è che sono statistiche relative al 2019, l’ultimo anno per così dire normale prima della pandemia: già allora, in sostanza, la disuguaglianza di genere tra gli occupati meridionali era enorme, superiore a quella registrata nel resto del Paese. La pandemia sicuramente non ha migliorato le cose: al massimo si può sperare, quando ci saranno dati più aggiornati, che le abbia lasciate invariate ma questo, come si intuisce, ha ben poco di rassicurante. Difficile immaginare, ad esempio, che in Calabria che due anni fa occupava il fanalino di coda della classifica regionale per numero di donne occupate (il tasso di occupazione era sceso dal 31% del 2007 al 30,3% del 2019) lo scenario sia radicalmente migliorato. Altrettanto difficile dimenticare che in questa scomoda, brutta e deprimente condizione le regioni del Sud si trovavano già prima del 2019. Quell’anno, come aveva già documentato un aggiornamento della stessa Confcommercio, tutta la fragilità dell’economia meridionale era emersa anche dall’andamento del mercato del lavoro «con un tasso di variazione degli occupati cresciuto quattro volte meno rispetto alla media nazionale (4,1% contro il 16,4% tra il 1995 e il 2019), con distanze ancora maggiori rispetto alle regioni del Centro e del Nord». E nemmeno la particolare vocazione turistica delle regioni meridionali, prima che esplodesse il contagio, era riuscita a spingere l’economia dell’area, visto che in un anno appunto “normale” come il 2019 «i consumi dei turisti stranieri al Sud sono risultati inferiori di quasi un terzo rispetto a quanto speso nelle regioni del Centro e del Nord-Est». Nel 2020 l’impatto minore della pandemia sul piano economico ha sicuramente limitato le perdite: le donne peggio di tutti in un Paese nel quale il tasso complessivo di occupazione femminile è migliore solo della Grecia con il 47,5%. Nel 2020 al Sud il calo dell’occupazione femminile è stato di 0,6 punti (0,9 le Isole), inferiore alla media italiana (-1,1 punti), trainata dal crollo del Nord Est (-1,9 punti, dal 61,4% al 59,5%). Di sicuro però le donne, impegnate soprattutto nel settore del commercio e dei servizi e con contratti più precari hanno subito maggiormente la crisi economica legata alla pandemia da Covid. Sarebbe bastato poco, già nel 2019, per migliorare quei dati. «Se la sola spesa degli stranieri al Sud avesse avuto la stessa incidenza del Nord-ovest, nel 2019 il Pil del Sud sarebbe stato più elevato dell’1% circa», rileva il Centro studi di Confcommercio. E aggiunge: «Se raggiungesse la quota del Centro, il Pil meridionale sarebbe più elevato di quasi 10 miliardi di euro (+2,5% reale ai prezzi del 2015)».
L’occasione è sfuggita e il futuro, anche se arrivano finalmente buone notizie sulla riduzione del contagio, resta comunque carico di incognite per un settore che al Sud garantisce oltre il 14% del Pil totale. Sarà anche per questo che nella nota diffusa ieri, Confcommercio rivede al ribasso le proprie stime sul Pil 2022: dal 4% stimato a dicembre al 3,5-3,7%. Bella ha ricordato che nelle prossime settimane arriverà il dato ufficiale e che il governo al momento prevede per quest’anno una crescita del 4,7%. La frenata non promette nulla di buono in tempi oltre tutto di maxi-spesa dei fondi del Pnrr ma è proprio su questi ultimi che la più rappresentativa delle associazioni del commercio guarda con particolare attenzione: «La crisi Covid ha indebolito ulteriormente il Mezzogiorno in termini di occupazione, capitale produttivo e reddito. Con il Pnrr è possibile recuperare il terreno perduto attraverso quasi il doppio degli investimenti pubblici che, se indirizzati presto e bene, attireranno anche ingenti risorse private rafforzando la filiera turistica. Solo così potremo assicurare una crescita robusta non solo al Sud ma all’intero Paese», dice il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli.
E sul Pnrr scommette il ministro per il Sud e la coesione territoriale Mara Carfagna: «Lo studio di Confcommercio sul crollo dell’occupazione femminile al Sud – scrive in una nota – conferma un’autentica emergenza di cui il governo è perfettamente consapevole: è per questo che stiamo investendo cifre mai viste prima nelle infrastrutture sociali, che al tempo stesso generano occupazione femminile e consentono alle donne di cercarsi o tenersi un lavoro. Il piano di edilizia scolastica per i nidi e i servizi per l’infanzia finanzia 1800 interventi con la creazione di 264.480 posti: il 55 per cento dei fondi per i nidi andrà al Sud, che avrà anche il 57,6 per cento delle risorse per mense e tempo pieno e il 54 per cento delle risorse per le palestre». Ma è l’introduzione del Lep Asili Nido nella Legge di Bilancio che il ministro giudica «determinante ai fini dell’occupabilità delle donne»: «Entro 5 anni ogni singolo comune del Sud dovrà offrire 33 posti al nido ogni 100 bambini residenti, e avrà i fondi per sostenere le spese di personale. Il crollo dell’occupazione femminile nel Mezzogiorno è il frutto della desertificazione dei servizi alla famiglia combinato con i bassi indici di sviluppo: il Pnrr ci offre l’opportunità di intervenire su entrambi i nodi del problema, sta a noi sfruttare fino in fondo l’opportunità».
«Assurdamente bassa» dice l’Ufficio studi di Confcommercio a proposito della partecipazione delle donne del Sud al mercato del lavoro. E c’è poco da discutere di fronte ai dati che il team di ricercatori guidati da Mariano Bella ha diffuso proprio ieri: il tasso di occupazione femminile nella fascia 15-64 anni nel Mezzogiorno «è precipitato al 33%», quasi 30 punti in meno del Centro-Nord (59,2%) e 30 esatti rispetto alla media Ue a 27, il 63%. L’aspetto più grave è che sono statistiche relative al 2019, l’ultimo anno per così dire normale prima della pandemia: già allora, in sostanza, la disuguaglianza di genere tra gli occupati meridionali era enorme, superiore a quella registrata nel resto del Paese. La pandemia sicuramente non ha migliorato le cose: al massimo si può sperare, quando ci saranno dati più aggiornati, che le abbia lasciate invariate ma questo, come si intuisce, ha ben poco di rassicurante.