«Cosimo non si lamentò affatto della circostanza che fosse stata uccisa in quell’evento una seconda persona perché era il periodo in cui più persone si uccidevano più Cosimo era contento…». A parlare della ferocia di Cosimo Di Lauro, figlio del capoclan Paolo Di Lauro, fratello di Ciro e Marco Di Lauro, i tre fratelli che, secondo gli inquirenti, rappresentavano il triumvirato alla guida dell’omonima famiglia camorristica di Secondigliano, è Salvatore Tamburrino, uomo di fiducia di Ciro «ò chiatto» e anche di Marco Di Lauro, detto «F4», colui che ha consentito l’arresto di Marco dopo 14 anni di latitanza. Tamburrino venne arrestato per l’omicidio della moglie Norina Matuozzo il 2 marzo 2019: lo stesso giorno viene arrestato anche Marco Di Lauro. Tamburrino ha iniziato la sua collaborazione con la Giustizia il 22 ottobre dello stesso anno. Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, risalenti al 21 novembre 2019, sono annesse all’ordinanza notificata ieri dal Nucleo Investigativo dei carabinieri di Castello di Cisterna a Ciro Di Lauro, Giovanni Cortese, Salvatore Petriccione e Ciro Barretta (gli ultimi tre facenti parte del gruppo di fuoco, il primo il mandante), per il duplice omicidio avvenuto a Melito, in provincia di Napoli, il 21 novembre 2004, di Domenico Riccio, considerato il riciclatore, o comunque il cassiere, di Raffaele Abbinante detto «papele», appartenente alla frangia rivale degli scissionisti, e di Salvatore Gagliardi, anche lui morto in quell’agguato malgrado non fosse tra gli obiettivi della «squadra di morte» dei Di Lauro di istanza proprio a Melito durante la faida di Secondigliano del 2004. Tamburrino, scrive il gip di Napoli Ambra Cerabona nell’ordinanza con la quale ha disposto le quattro misure cautelari, «…rappresenta l’affiliato di livello superiore dei Di Lauro che ha portato all’attenzione degli inquirenti un patrimonio conoscitivo rilevantissimo in ordine ai periodi della faida del 2004». «Il giorno dopo l’omicidio – continua Tamburrino – io e Marco (Di Lauro, ndr) eravamo da Cosimo (il fratello di Marco, ndr), e si presentò Salvatore Petriccione (a cui ieri i carabinieri hanno notificato l’arresto per il duplice omicidio, ndr) e disse: hai visto, abbiamo risolto». Cosimo, racconta ancora il collaboratore di giustizia, rispose: «sì, abbiamo visto il telegiornale». Cosimo chiese anche di due affiliati e Petriccione risposte che stavano a casa, riposando, «…perché questa notte non hanno dormito pensando solo all’omicidio che dovevano commettere…». Che il duplice omicidio di Domenico Riccio e di Salvatore Gagliardi, fosse inquadrabile nella cosiddetta alla faida di Scampia del 2004 e riconducibile al clan Di Lauro, i carabinieri e la Dda di Napoli lo avevano capito ma ulteriori conferme alle loro ipotesi giunsero dalla rabbia manifestata dai parenti di Riccio, in particolare dalle parole pronunciate da Benedetta Riccio, titolare della tabaccheria, figlia di Domenico e nipote di Gagliardi. Davanti ai corpi senza vita dei suoi parenti la donna auspicò la morte di tutta la famiglia Di Lauro: «Gli devono uccidere tutti e dieci i figli. Quelli dell’Arco che vanno in giro con le CBR (modello di una moto, ndr)». Per gli investigatori con quelle parole, la donna si era proprio scagliata contro i Di Lauro, che avevano la loro base logistica in una zona di Secondigliano detta proprio «in mezzo all’Arco». Inoltre era noto a tutti che il capoclan Paolo Di Lauro avesse molti figli, undici per la precisione, uno però era deceduto deceduto: rimase vittima di un incidente stradale avvenuto proprio mentre era in sella a una moto CBR.

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