La politica non è aritmetica. Se si analizza il voto delle elezioni senza scavare a fondo nei meandri dei risultati si rischia di collezionare soltanto brutte figure. Purtroppo l’approssimazione regna sovrana anche in una fetta del mondo dell’informazione con esiti disastrosi. In qualche caso esilaranti. Nel caso del Pd di Caserta, ad esempio, si è detto e scritto che il partito ha fatto flop. Niente di più lontano dalla realtà. Per una disamina seria dei flussi elettorali si deve partire innanzitutto dal confronto con le precedenti politiche, quelle del 2018. In Campania 2-P02 (collegio di Terra di Lavoro) i democratici racimolarono appena l’11,12% dei voti. A questo giro i dem casertani hanno ottenuto il 12,52%. Un punto e mezzo in più in termini percentuale. Per carità, il risultato non è esaltante. Ma non va interpretato guardando asetticamente i numeri. Come abbiamo detto, una cosa è l’aritmetica, altra cosa è la politica. Nelle elezioni del 2018 il Pd di Caserta ha messo in campo un quartetto di candidati territoriali da 75-80mila voti potenziali. Nella lista c’erano Gennaro Oliviero, che alle ultime regionali ha incassato oltre 20mila preferenze, Stefano Graziano, primo dei non eletti al parlamentino campano pur aver toccato quota 18mila voti, Nicola Caputo, che alle europee del 2019 raccolse la bellezza di 73.556 preferenze, non riuscendo a essere rieletto per una manciata di voti. Alle precedenti europee Caputo, poi passato con Italia Viva, superò ampiamente le 80mila preferenze. Il quarto asso nella manica del Pd casertano alle politiche del 2018 era Camilla Sgambato, che quando si è cimentata con le regionali ha sempre raccolto decine di migliaia di voti. Insomma nella provincia di Caserta i democrat avevano schierato tutti candidati con un gigantesco bagaglio di consensi. In termini aritmetici quindi c’erano tutti i presupposti per un boom elettorale. E invece l’allora partito di Renzi superò in Terra di Lavoro di poco l’11 per cento. Nel collegio scattò lo stesso, seppur con i resti, un seggio che fu appannaggio di Piero De Luca, figlio del governatore della Campania Vincenzo De Luca (rieletto anche stavolta). Ma come si spiega un risultato così basso? Con le categorie della politica. Nel 2018 il fenomeno 5 Stelle travolse come uno tsunami i partiti “storici”. All’uninominale i pentastellati vinsero in 60 collegi su 61. E al proporzionale superarono il 55%, toccando in alcune zone il 60 per cento dei voti. Furono tutti travolti. A partire dal Pd.
Per operare un’analisi oculata dei risultati elettorali delle ultime elezioni in provincia di Caserta non si può prescindere da prendere in considerazione tre aspetti decisivi. Il primo: a sorpresa i Cinquestelle hanno fatto di nuovo il botto. Il secondo: il vento di destra ha fatto volare Fratelli d’Italia su percentuali altissime. Se si aggiunge che la Lega, trainata da Gianpiero Zinzi (eletto) è andata addirittura oltre il dato nazionale e che Forza Italia ha fatto registrare un buon risultato, il quadro politico inizia a delinearsi in modo chiaro. Senza dimenticare il terzo fattore che ha debilitato i dem casertani: la diserzione di Gennaro Oliviero. Il presidente del consiglio regionale della Campania non solo non ha fatto votare per il Pd ma, si dice da più parti, che avrebbe addirittura appoggiato la candidata di Fi Amelia Forte, sua conterranea. In pratica rispetto al 2018, quando correvano per i democrat Oliviero, Caputo, Sgambato (in polemica con il partito) e Graziano, soltanto quest’ultimo ha tirato la carretta alle elezioni del 25 settembre, assieme ai dem veri, non quelli già pronti a festeggiare per il funerale del partito. Ciò nonostante il Pd casertano migliora il risultato di quattro anni prima e passa dall’11% al 12,50%. E stavolta ottiene un seggio pieno, meritatamente conquistato da Graziano. Ecco, la politica non è aritmetica.
Mario De Michele