«Sarebbe bastato operarlo subito all’aorta, aprendo la ferita e richiudendo i due lembi dell’arteria». Ne è convinto l’ex chirurgo del pronto soccorso del Policlinico Federico II di Napoli, Giovanni Romano, che così ha spiegato, davanti alla Corte d’Assise del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nella veste di perito della difesa, quella che a suo parere è stata la causa della morte: «Gennaro Leone poteva salvarsi». Il pugile 18enne fu accoltellato la notte tra il 28 e 29 agosto 2021 a Caserta in via Vico, cuore della movida, dal coetaneo Gabriel Ippolito, imputato per omicidio volontario. La difesa di quest’ultimo, rappresentata da Angelo Raucci e Michela Ponticelli, ha sempre sostenuto che Leone sarebbe morto per colpe dei sanitari del pronto soccorso dell’ospedale di Caserta, mai coinvolti nell’indagine, perché non fu operato. legali non hanno mai contestato il ferimento da parte di Ippolito, che emerge dalle immagini delle telecamere di videosorveglianza cittadine mostrate nell’udienza dello scorso aprile, ma danno battaglia sulla causa della morte e sul lasso di tempo di tre ore intercorso tra l’accoltellamento nelle vie della movida e il decesso in ospedale. Leone, ferito da Ippolito all’arteria femorale, fu portato dal 118 al pronto soccorso verso mezzanotte, ma morì dopo tre ore per dissanguamento, come da versione ufficiale. I legali di Ippolito hanno nominato tre periti, il chirurgo di urgenza Giovanni Romano (in pensione), un medico legale e un chirurgo vascolare, per dimostrare che dopo il ferimento, Leone poteva essere salvato. Nell’udienza di oggi, Romano ha ricordato come dopo l’arrivo al pronto soccorso, il giovane aspettò un’ora per sostenere una tac, quando sarebbero bastati un intervento chirurgico e delle trasfusioni per salvargli la vita. Il tribunale ha sospeso l’udienza per sentire sul punto, ritenuto dirimente, i propri consulenti, aggiornandola al 30 novembre prossimo.