Le lunghe file riprese dalle immagini satellitari nelle principali città cinesi davanti ai crematori, operativi 24 ore su 24, rilanciano i forti dubbi sulla situazione reale dell’ondata di Covid in Cina e sull’attendibilità e l’adeguatezza dei dati forniti finora dalle autorità, questione più volte sollevata dall’Organizzazione mondiale della sanità. Mentre Pechino risponde con le prime «contromisure» a carico dei Paesi che hanno adottato restrizioni sanitarie ai viaggiatori provenienti dalla Cina, bloccando l’emissione dei visti ai cittadini di Corea del Sud e Giappone per aver imposto l’obbligo del tampone negativo entro le 48 ore dall’imbarco, tra l’altro seguendo lo stesso protocollo osservato dal Dragone per gli ingressi dall’estero. Il Washington Post ha pubblicato le immagini scattate nel mese di dicembre su crematori e agenzie funebri di Pechino, Nanchino, Kunming, Chengdu, Tangshan e Huzhou, traendo le conclusione di un’attività abnorme, aumentata in modo esponenziale dall’inizio dell’ondata peggiore dalla crisi di Wuhan. Segnalati anche “bagarini” che accelerano le pratiche per i funerali in cambio di denaro. Nel distretto di Tongzhou, alla periferia di Pechino, tra il 22 e il 24 dicembre il parcheggio del crematorio è stato ampliato fino ad ospitare un centinaio di auto. Stando ad un post comparso sul sito del Quotidiano della Gioventù di Pechino, poi subito cancellato, nella struttura si cremavano 150 cadaveri al giorno. Il paradosso è che i dati forniti dalle autorità provinciali, quelli più seguiti, non finiscono nei bollettini statistici nazionali, peraltro ridimensionati dopo il declassamento del Covid da ‘malattia À a ‘malattia B’. Secondo le autorità di Pechino, molte città avrebbero superato il picco dei contagi, ma lo tsunami di casi gravi sarebbe ancora lontano dalla conclusione. Province popolose come l’Henan e il Sichuan, rispettivamente con quasi 100 milioni e oltre 80 milioni di abitanti, hanno riferito tassi di infezione tra l’80 e il 90% dei residenti, mentre a Shanghai il 70% dei 23 milioni di cittadini sarebbe stato già contagiato. Com’è possibile che il numero complessivo dei morti dal 2020 sia di circa 2.500? «Le autorità di Pechino stanno sottostimando i numeri», è il mantra ripetuto da Mike Ryan, il capo delle emergenze all’Oms, mentre si moltiplicano gli allarmi sui social cinesi sui posti in ospedale e di terapia intensiva ormai saturi. L’epidemiologo Zhang Wenhong, tra le voci governative più autorevoli, ha avvertito che un altro picco di contagi è atteso ad aprile-maggio, e minaccia di colpire il 25-50% della popolazione cinese. Intanto, continua anche la diatriba tra la Cina e il colosso farmaceutico Usa Pfizer sull’antivirale Paxlovid che Pechino non ha incluso nel programma di assicurazione medica nazionale a causa del suo alto costo. Secondo il suo numero uno, Albert Bourla, Pfizer potrebbe cominciare a produrre il farmaco in Cina tramite un’azienda partner nei prossimi 3-4 mesi, anche se non sarà più disponibile tramite il servizio sanitario nazionale dal 31 marzo, ma solo privatamente. In un editoriale il Global Times ha chiesto alla società di «cooperare con la Cina con più sincerità», difendendo la posizione di Pechino che – secondo il tabloid nazionalista del Quotidiano del Popolo – ha mostrato «flessibilità». Bourla, partecipando a una conferenza tenuta lunedì a San Francisco, aveva detto in modo netto che l’offerta della Cina sul prezzo era inferiore a quella che l’azienda accetta da «Paesi a reddito medio» e «non penso che la seconda economia del mondo debba pagare meno di El Salvador».