Il nuovo “piccolo miracolo italiano”, un Paese che cresce più delle aspettative e della media Ue, che, anzi, è addirittura “il più affidabile”. E una nave, “la più bella del mondo”, che pure un po’ acciaccata può sfidare qualsiasi onda, con le “indicazioni chiare” che il governo saprà dare e grazie al dinamismo e alla capacità di reazione delle imprese. E remando tutti dalla stessa parte, soprattutto sul Pnrr. E’ quasi un intervento motivazionale quello che Giorgia Meloni fa davanti agli industriali di Assolombarda. Quella ‘locomotiva’ dell’economia italiana che apprezza di essere riconosciuta come tale e che applaude, con moderazione, alla premier che certo, trova sintonia con la platea ma non la scalda davvero, se non quando rivendica l’abolizione del Reddito di cittadinanza per chi può lavorare. Nei 27 minuti del suo intervento Meloni riceve comunque diversi applausi, quando sottolinea che la sostenibilità ambientale deve andare di pari passo con quella sociale ed economica (la transizione, dice “non può smantellare le nostre imprese”), quando ricorda i risultati delle battaglie a Bruxelles sull’auto (e pure sugli imballaggi), quando insiste sulla necessità di perseguire la “neutralità tecnologica”. Piace anche il cambio di “narrazione” del mondo imprenditoriale, come dice apertamente Carlo Bonomi dopo che la premier ha definito dal palco “inspiegabile” la “tendenza a sminuire il portato dell’industria italiana” che avrebbe da insegnare più che da imparare, dalle “realtà esterne ai confini nazionali” che invece spesso vengono prese a punto di riferimento. Bisogna smetterla, in una parola, con quel “tafazzismo” citato anche in una intervista al Corriere della sera. Concetto che la premier ripete pure quando richiama all’unità sul Pnrr. La premessa è che a scriverlo sono stati altri, ma l’esecutivo è impegnato a “modificare le parti che non vanno bene”, a “contrattare con la Ue”, a semplificare ancora per aiutare soprattutto gli enti locali. Le risorse, assicura, “le metteremo a terra, costi quel che costi”, “metteremo tutti ai remi” e “se qualcuno vuole rimanere a guardare vorrà dire che quando avremo terminato avrà imparato una lezione”, dice con tono di sfida rivolta a chi, anche su questo terreno che dovrebbe essere interesse di tutti difendere, “tifa perché si fallisca”. Invece, l’appello bisognerebbe agire “come un sol uomo”. Meloni elenca priorità e sfide, a partire dallo scorporo degli investimenti strategici nel nuovo Patto di stabilità Ue, e usa quasi le stesse parole che poco dopo pronuncerà il presidente di Assolombarda, Alessandro Spada. Ma indica linee di azione generali più che risposte concrete. Annuncia a breve – in Cdm ad agosto fa sapere il ministro Adolfo Urso – un chips act italiano, per rendere l’Italia competitiva nell’high tech. E per la primavera del prossimo anno un “documento globale di politica industriale” per il made in Italy di cui l’omonimo ddl – varato il 31 maggio in Cdm e ancora non trasmesso alle Camere – non è che il primo passo. Ma resta vaga sul cavallo di battaglia degli industriali, quel taglio del cuneo indispensabile a rendere le imprese competitive con la concorrenza straniera, che lo stesso Bonomi, alla sua ultima assemblea di Assolombarda da presidente di Confindustria, mette in cima alle priorità per la prossima manovra, insieme agli incentivi per “industria 5.0”. Ci saranno meno tasse per chi investe nella transizione e “nelle risorse umane” grazie alla riforma fiscale, assicura la premier. Che garantisce anche che il governo è alla ricerca delle risorse per rendere strutturale il taglio del cuneo applicato quest’anno (6 punti fino a 35 mila euro, 7 punti entro i 25mila euro). Uno sforzo “non di poco conto” in appena 7 mesi di lavoro, rivendica. Ma sempre troppo poco per gli industriali, che chiedevano e continuano a chiedere almeno 15 miliardi. Un impegno ben più corposo.

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