Quando i parlamentari della Lega hanno capito che il 18 ottobre cade di venerdì molti di loro avranno alzato gli occhi al cielo. Che disdetta! Invece che tornarsene nel collegio, su al Nord, Matteo Salvini li vuole a Palermo, davanti all’aula bunker del Pagliarelli, per protestare contro la richiesta di condanna a sei anni per il sequestro dei migranti dell’Open Arms. Quel giorno è prevista l’arringa dell’avvocato Giulia Bongiorno e il vicepremier li vuole tutti lì i 94 parlamentari del Carroccio. Devoti e arcigni dovranno, si suppone, alzare cartelloni di protesta e magari cantare l’inno d’Italia come fecero quelli di Forza Italia quando marciarono sul tribunale di Milano reo di “voler eliminare per via giudiziaria il capo politico più votato degli ultimi vent’anni”. Non c’è niente più malinconico del remake. Un leader si misura dall’intuizione inedita, qui Salvini prova a copiare pigramente il Cavaliere, come uno studente svogliato. L’istinto descamisado lo porta sempre verso il Papeete, il gesto sgangherato, da bullo, ma un vicepresidente del Consiglio in teoria è un uomo di Stato, il che imporrebbe sobrietà e rigore, e rispetto verso la funzione della magistratura. Ma sono tutte qualità che non si addicono più da tempo all’uomo politico moderno. Salvini oggi alle 16 ha convocato il Consiglio federale della Lega per organizzare la mobilitazione del popolo verde. C’è quindi un precedente. Era lunedì 11 marzo 2013. Si era votato da due settimane. L’elezione della non vittoria. Cento parlamentari di Forza Italia, guidati da uno scatenato Angelino Alfano (sei mesi dopo avrebbe lasciato il partito), si assieparono sotto la gigantografia di Borsellino e Falcone per sfidare l’ordine giudiziario. C’erano Fitto, Santanché, oggi ministri, Laura Ravetto, ora leghista, Lucio Malan, meloniano, e poi Gelmini, Palma. Casellati, Rotondi, Costa, Polverini, Biancofiore, Giovanardi, Capezzone, Minzolini. E viene spontaneo constatare, nel ripercorrere le immagini di quella mattina, che la storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa.