Osservate per la prima volta ai raggi X le strisce di un materiale superconduttore ‘zebrato’, uno dei piu’ importanti tra quelli a base di rame chiamati cuprati. La scoperta, frutto della collaborazione tra Politecnico di Milano, Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e Max Planck Institut di Stoccarda, rappresenta un enorme passo avanti verso la progettazione di nuovi materiali che anche a temperatura ambiente siano superconduttori, capaci cioe’ di trasportare l’elettricita’ senza sprechi.

Nel loro studio, pubblicato su Science Express, i ricercatori si sono focalizzati su un particolare materiale superconduttore cuprato chiamato YBCO, la cui sigla sta a indicare la composizione chimica fatta da ossido di rame, bario e ittrio. ”Da tempo si sospettava che i cuprati, pur avendo una composizione chimica omogenea e ordinata, avessero gli elettroni distribuiti in zone piu’ o meno dense che disegnano delle vere e proprie strisce simili a quelle di una zebra”, spiega Giacomo Ghiringhelli del dipartimento di fisica del Politecnico di Milano. ”Grazie a specifici raggi X capaci di interagire solo con gli ioni di rame contenuti nel materiale – aggiunge il fisico – siamo riusciti a ‘vedere’ per la prima volta queste strisce, dimostrando che gli elettroni si concentrano in strisce piu’ sottili e dense di carica intervallate da altre piu’ larghe e meno cariche”. I ricercatori hanno anche scoperto che ”le strisce influenzano pesantemente la comparsa della superconduttivita’, perche’ probabilmente rappresentano un ostacolo al percorso dell’elettricita”’, precisa Ghiringhelli. Questa ricerca rappresenta un nuovo e cruciale tassello utile a ricostruire il misterioso puzzle dei cuprati, materiali le cui caratteristiche superconduttive rimangono prive di spiegazione teorica a quasi trenta anni dalla loro scoperta. Questo aiutera’ i ricercatori impegnati nella progettazione di materiali superconduttivi piu’ efficienti che possano essere usati a temperature sempre piu’ semplici da raggiungere, mentre quelli attuali, gia’ impiegati nella diagnostica per immagini, nelle telecomunicazioni e anche nella ricerca del Cern di Ginevra, operano solo a temperature molto basse e difficili da ottenere

 

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