Bilancio ancora decisamente in rosso per riforme e legge elettorale. Sul ddl costituzionale, i senatori di Pd e Idv mettono in pratica l’Aventino minacciato ieri e abbandonano l’Aula di Palazzo Madama per protestare contro la decisione di Pdl e Lega di andare comunque avanti con le votazioni su presidenzialismo e Senato federale. E questo nonostante i senatori Luigi Compagna e Franca Chiaromonte abbiano deciso di ritirare l’emendamento della ‘discordia’: quello che punta a rafforzare l’immunità parlamentare.
Il Comitato ristretto, quello che secondo la Conferenza dei capigruppo avrebbe dovuto mettere a punto un testo da proporre all’Assemblea entro 14 giorni, fa sapere di non poter presentare un testo base neanche la prossima settimana. “Mercoledì faremo una relazione sulle diverse posizioni – dice il relatore Enzo Bianco (Pd) – ma per il testo si dovrà ancora attendere”. La Lega, invece, presenta un suo progetto di legge che, a detta di Maroni, “é senz’altro il più condivisibile” tra quelli ora sul tavolo perché introduce la preferenze, lo sbarramento tra il 4% e il 6% e il premio di governabilità del 10%: con il 45% si avrà il 55%. Ma per ora il coro di critiche é esteso: Pd e Idv lo bollano come ‘il Porcellum 2’. Mentre Berlusconi, assicura sempre Maroni, esprime una qualche “apertura”, ma nel Pdl, come si sa, le sensibilità sono varie e distanti. E un ‘si’ unanime non sembra così scontato. Così, in attesa che tra ‘ABC’ si arrivi all’intesa che sblocchi lo stallo “infinito”, come lo definisce Idv, si muovono le pedine, ma il gioco non cambia. In più, dopo che Pd e Idv escono dall’Aula, mentre il Terzo Polo resta, Lega e Pdl approvano da sole un emendamento di Roberto Calderoli e Sergio Divina che di fatto fa saltare il principio di “unità giuridica o economica della Repubblica” nell’ambito dell’attività legislativa del Parlamento: atto che il vicepresidente dei senatori Pd Luigi Zanda definisce “politicamente molto grave” e sintomo “della spinta secessionista” che continua ad animare il Carroccio. Il comma che salta dell’art. 7 del ddl è quello che stabilisce come la funzione legislativa debba venire esercitata in forma collettiva dalle due Camere quando, per “garantire l’unità giuridica o economica della Repubblica”, il governo presenti al Parlamento un disegno di legge che, “nel rispetto dei principi di leale collaborazione e di sussidiarietà”, intervenga nelle materie attribuite alla potestà legislativa regionale. Impedendo così al governo di intervenire sulle questioni regionali con un voto che passi da entrambe le Camere. Intanto tra i partiti continua il ‘tutto contro tutti’. Lega e Pdl criticano i Democratici per l’abbandono dell’Aula. “Noi non abbiamo paura del voto del popolo sovrano”, dice Maroni a proposito del presidenzialismo. Loro “evidentemente sì”. Bersani ribatte che è “indecoroso” l’atteggiamento di Pdl e Lega e che il testo sulle riforme così come modificato è”una bufala pazzesca”. Vogliono sventolare la bandiera elettorale del presidenzialismo e del Senato federale, incalza Rutelli (Api), ma non si accorgono che ormai “la bandiera è diventata piccola come quella sopra le olive”. Il Pd lascia l’Aula perché “teme di votare il presidenzialismo”, attacca il capogruppo Pdl Maurizio Gasparri. Non abbiamo paura, gli replica il presidente dei senatori Pd Anna Finocchiaro, ma “rispettiamo le istituzioni”. Il “teatrino delle riforme”, come lo chiama l’Idv, slitta così alla prossima settimana. Resta da votare il ddl: dall’ articolo 7 al 13. E c’é una nuova riunione del Comitato ristretto. L’Idv fa sapere che tornerà in Aula perché la protesta era diretta soprattutto al contingentamento dei tempi “imposto da Schifani”, come ribadisce Pancho Pardi. Mentre per il Pd è suspance: ancora non ha deciso.