Mattinata di alta tensione a Portovesme per il ritrovamento, annunciato con una telefonata anonima, di 8 candelotti di dinamite, poi rivelatosi semplice mastice, su un traliccio di Terna all’ingresso dello stabilimento Alcoa.
L’ordigno, spiegano gli investigatori, era confezionato bene, e a una prima ispezione poteva sembrare vero. Le immediate analisi sul materiale inserito all’interno dei candelotti hanno smentito si trattasse di gelatina. I fili che collegavano i candelotti e finivano in una scatola, fatta brillare sul posto, hanno poi fatto temere la presenza di un innesco che invece si è rivelato finto. Il ritrovamento ha scosso operai e sindacati, già provati per la piega estrema imboccata dalla protesta: solo ieri, dopo quattro giorni di lotta a 70 metri di altezza, tre lavoratori sono scesi da un silos dell’acqua. Ore di trattativa con i delegati della Rsu per convincere i tre, uno dei quali con problemi cardiaci, a desistere. Ma con le bombe, vere o finte, loro non hanno e non vogliano avere niente a che fare. “Questo modo di agire non appartiene alla storia e alla cultura dei lavoratori dell’Alcoa”, spiega il segretario della Fim-Cisl del Sulcis, Rino Barca.
Per questo, in vista della trasferta di lunedì a Roma con almeno 500 operai che presiederanno il Mise in occasione di un vertice deciso per le sorti dello stabilimento di Portovesme, Barca annuncia che verrà “rinforzato il servizio d’ordine per scongiurare infiltrazioni estranee alla lotta sindacale”. La vertenza è alla stretta finale. Si tratta su due binari paralleli per cercare un nuovo acquirente in grado di rilevare lo stabilimento di cui Alcoa vuole disfarsi. Governo e Regione puntano ad aprire il negoziato con Glencore, già presente nel polo industriale di Portovesme; la multinazionale americana, invece, sta mantenendo contatti con Klesch. Lunedì si saprà se le manifestazioni di interesse sfoceranno in qualcosa di concreto.