di Riccardo D’Antonio
La situazione delle banche rappresenta sicuramente uno dei nodi principali della crisi economica che l’Italia sta attraversando. Esse rappresentano uno dei meccanismi principali sia per il corretto funzionamento dell’economia (pagamenti, garanzie, etc) sia per fornire impulso alla crescita (finanziamenti, investimenti, etc.).
Non meraviglia dunque che in un momento di difficoltà del Paese in generale le banche siano tra i soggetti più esposti, più criticati e anche maggiormente bisognosi di riforme e ammodernamento. Le banche in Italia sono state gestite in modo molto conservativo (non c’è stato bisogno di ricorrere a nazionalizzazioni di istituti in difficoltà come avvenuto in altri importanti paesi), ma poco attento agli sviluppi futuri. Ciò ha permesso da un lato di sopportare la tempesta, ma pone gravi problemi per la sostenibilità futura del loro business model (e ovviamente senza un sistema bancario efficiente e al passo coi tempi è difficile, se non impossibile, rilanciare la crescita economica). Quali sono le principali sfide che affrontano oggi le banche italiane? Sostanzialmente, sfruttando anche l’intervento in proposito del governatore della Banca d’Italia Visco all’assemblea ordinaria dell’istituto, si possono distinguere 2 gruppi di problematiche, che per semplicità definirei “strutturali” e “congiunturali”. Mi focalizzerò sui primi, che sono:
1) Un sistema ancora troppo frammentato e con parecchie realtà di respiro poco più che comunale. Ancora oggi in Italia ci sono oltre 700 banche. Il loro numero è diminuito rispetto agli anni ’90, ma ancora troppo elevato, dato che spesso la dimensione ridotta ha dato vita a fenomeni di mala gestio (con varie commistioni anche a livello politico locale) o addirittura a non sporadici casi di amministrazione straordinaria.
2) Il modello federativo adottato da parecchi gruppo per preservare, sia uno storico radicamento al territorio sia spesso per l’impossibilità di sbarazzarsi di azionisti di minoranza molto agguerriti, è ormai obsoleto, costoso e molto inefficiente. Basti citare un dato su tutti: i primi 10 gruppi hanno oltre 1136 cariche (amministratori, consiglieri, etc.), un numero talmente spropositato da far notare al governatore come tali “composizioni pletoriche […] deresponsabilizzano i singoli consiglieri e si riflettono negativamente sulla funzionalità degli organi collegiali”
3) L’incombente presenza delle Fondazioni bancarie, che hanno avuto il merito di svolgere un importante ruolo di mediazione tra le comunità e le banche e di convogliare massicce risorse per opere sociali, sembra aver esaurito il suo corso. Le Fondazioni ormai sembrano incapaci di sostenere gli ingenti investimenti necessari a mantenere stabile la loro presenza nell’azionariato bancario oltre ad aver dato spesso cattiva prova in alcune scelte strategiche (per esempio il via libera dato al management di Monte Paschi per l’acquisizione di Antonveneta all’apice del mercato).
4) La necessità di ridurre progressivamente gli impieghi per non mettere a repentaglio la loro stessa esistenza. Sembrerà strano sentendo le tv e leggendo i giornali, ma la media per le banche italiane è 125% per il rapporto tra impieghi e depositi (a fronte di un 70% per gli USA e il Giappone e 120% per l’Europa). Le banche dunque non hanno lesinato nell’erogazione di credito in generale, ma bisognerebbe cercare di focalizzare meglio questi sforzi, visto anche che i fondi stanno rapidamente diminuendo e non sono crollati solo grazie al tempestivo intervento della BCE di inizio anno
5) Necessità di ridurre i costi e aumentare gli investimenti in tecnologia. Anche a causa della lenta diffusione di internet le nostre banche continuano ad essere sbilanciate su un’offerta di tipo tradizionale (sportelli), che ha penalizzato investimenti in tecnologia e fatto lievitare i costi. Ciò avrà un forte impatto sia in termini di prodotti offerti (e modi di offrirli) sia in termini di ricadute occupazionali.
6) Business model troppo sbilanciato in funzione pro-ciclica. Le banche continuano a trarre la maggior parte dei loro ricavi da attività che risentono ampiamente del ciclo economico. Sarebbe dunque necessario cercare di smorzare in qualche modo l’impatto dei rovesci dell’economia ampliando l’offerta di prodotti e servizi o ripensando il modo di offrirli.
Mi sembra che ci sia un’ampia casistica, con implicazioni profonde e ramificate, su cui aprire un costruttivo discorso di riforma, ma purtroppo l’attenzione del governo si focalizza su sterili dispute o è assorbita da questioni molto meno rilevanti. Senza un sistema bancario efficiente e moderno è difficile se non impossibile far ripartire l’economia e questo dovrebbe essere ben chiaro almeno al ministro Passera che meno di 12 mesi fa era a capo del primo gruppo bancario italiano. Ciononostante, si è preferito lasciare la patata bollente nelle mani della BCE che purtroppo può solo intervenire in modo indiretto e temporaneo.