Cala il sipario sul governo dei tecnici e anche la legislatura è ormai a un passo dal suo “the end”: domani, salvo sorprese, le Camere saranno sciolte. Mario Monti è da oggi un presidente del consiglio dimissionario, e il suo governo resta in carica solo per l’ordinaria amministrazione. Come aveva annunciato l’8 dicembre, dopo che il pdl gli aveva voltato le spalle alla Camera, il premier ha aspetto il sì definitivo alla legge di stabilità e subito dopo è salito al Quirinale per dimettersi. Una breve riunione del consiglio dei ministri (giusto il tempo di approvare definitivamente le regole sull’incandidabilità per le prossime elezioni e di sentire da Monti la conferma della sua intenzione di lasciare il campo) ha preceduto l’incontro del premier con il capo dello Stato.
E’ stato un’incontro di breve durata: in tutto una ventina di minuti per concordare gli ultimi particolari della road map che conduce verso il voto anticipato. Napolitano, come da copione, ha preso atto delle dimissioni e ha inviato il governo a restare in carica per gli affari correnti. Dopo un giro di consultazioni-lampo dei capigruppo parlamentari (già organizzato per domani, dalle 10 alle 13) il capo dello Stato prenderà la decisione finale sulla fine della legislatura. Tutto lascia prevedere che lo scioglimento delle Camera arriverà domani: nessuna incertezza, ormai, sulla data delle elezioni, che si terranno il 24 febbraio. La giornata ha visto il Parlamento in un rush finale per l’approvazione degli ultimi provvedimenti rimasti in sospeso; oltre la legge di stabilità, la riforma della professione forense, e una miriade di leggine elettoralistiche che hanno trovato la strada libera grazie al clima da “rompete le righe” che si respirava a Montecitorio e Palazzo Madama. Non ce l’ha fatta a superare il traguardo, invece, il decreto che riduce le firme per la presentazione delle liste elettorali, arenatosi per l’opposizione della Lega. Il clima da fine legislatura si respira anche nelle polemiche tra le forze che si fronteggeranno nell’imminente campagna elettorale. Tutta l’attenzione è ora concentrata su Monti: per sapere se si candiderà o no alla guida del prossimo governo bisognerà aspettare fino a domenica, quando affronterà le domande dei giornalisti nella tradizionale conferenza stampa di fine anno, rinviata a dopo lo scioglimento delle Camere proprio per poter parlare agli italiani più liberamente. Nel frattempo il premier continua a lanciare segnali che vanno nella direzione di un suo impegno, anche se a determinate condizioni: a partire dall’agenda, il perno su cui potrà lavorare per un coinvolgimento diretto in politica. E’ proprio per questo che contro Monti si scatena la vis polemica di Silvio Berlusconi. In quasi tutte le sue numerose interviste alle tv e alle radio italiane c’é una frecciata all’inquilino di Palazzo Chigi. Il Cavaliere arriva a definirlo un “capetto di un gruppo di partitini” e getta lì una considerazione: se Monti decidesse veramente di guidare una parte politica alle elezioni per lui diventerebbe più difficile puntare al Quirinale, perché verrebbe meno la sua caratteristica di uomo “super partes”. Il Pd è più misurato , ma anche Bersani comincia a considerare Monti, se non un avversario, almeno un competitore con cui misurarsi. Ma il segretario del Pd invita i suoi a essere “sereni e determinati”: perché i democratici, lui ne é sicuro, vinceranno le elezioni e guideranno il governo.