NAPOLI – La malagiustizia esiste, c’è poco da fare. Capita di incontrarla quando si scivola nelle sabbie mobili di procedimenti giudiziari estenuanti. Accompagnati dal macabro corollario di assurde quanto inumane detenzioni e dalla gogna dei processi mediatici.

Tuttavia c’è anche la buona giustizia, l’unica che veramente dovrebbe contare nelle aule dei tribunali. E che, con un gioco di parole, se applicata correttamente, contribuisce a spazzare via gli errori provocati dalla “malagiustizia”. Perché la “buona giustizia” emenda ciò che giusto non è. Di questo parla nel suo ultimo libro “Mala Iustitia, colpevoli d’innocenza”, per i tipi di Spazio Creativo Edizioni (nuovo titolo della collana “A colpi d’ inchiesta”), il giornalista partenopeo Pietro Funaro. Quasi una sorta di autobiografia, la sua, che si snoda attraverso un commovente viaggio nel passato, alla riscoperta della propria drammatica odissea giudiziaria. E che sarà presentata lunedì, 4 febbraio, alle ore 17, nella sala conferenze de Il Denaro negli spazi del teatro Mediterraneo alla Mostra d’Oltremare di Napoli. Interverranno, per l’occasione: l’on. Gianfranco Rotondi. il dott. Giandomenico Lepore, già procuratore della Repubblica di Napoli. il giornalista Alfonso Ruffo, direttore de Il Denaro. l’on. Carmelo Conte. l’avvocato Marcello Lala. Modererà la presentazione il giornalista e scrittore Ermanno Corsi. Pagine di vita vissuta, quelle di “Mala Iustitia”, trattate col piglio del cronista d’assalto. Fin troppo semplici da leggere nella loro cruda essenza. Sì, perché i capitoli del volume si scorrono tutti d’un fiato e quello che più balza agli occhi, leggendo tra le righe, è il quadro a tinte fosche, fin troppo anomalo e incongruente, del modus operandi di un certo tipo di magistratura forse un po’ troppo incline alle imputazioni facili, ispirate allo speciale, quanto inflazionato, reato del “concorso esterno in associazione mafiosa” di cui pure parla Funaro. Ampio spazio viene, inoltre, dato nella parte centrale del libro alle vicissitudini giudiziarie di cui rimasero vittima alcuni protagonisti della vita politica italiana del periodo compreso tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90, finiti nel mirino dei giudici, processati sui giornali, quindi sottoposti alla carcerazione. E poi, successivamente assolti, quando magari era già troppo tardi per alcuni di loro. E’ questa la vicenda di Antonio Gava, Carmelo Conte, Calogero Mannino, Carmine Mensorio e Felice Di Giovanni, di cui, grazie al racconto di Funaro – a sua volta coinvolto in un massacrante caso di “mala giustizia” che lo tenne costretto, da innocente, a quasi 300 giorni in carcere – rivive il drammatico travaglio. Con epiloghi tremendamente diversi, di persona in persona. Come nel caso dell’ex deputato della Dc Mensorio, morto suicida dopo aver urlato invano al mondo la propria innocenza e dell’onesto funzionario di Regione Felice Di Giovanni, stroncato da un male incurabile, ma non senza prima essersi preso la soddisfazione di vedersi scagionare da ogni accusa. Lo scopo che anima il lavoro di Pietro Funaro diventa lampante nella parte finale del volume, che si concluda con una sorta di manifesto-appello: “…oggetto di questo libro-indagine – scrive l’autore – è la disfunzione dell’ amministrazione della Giustizia che colpisce la comunità e che provoca sfiducia verso le istituzioni e genera un vero e proprio black out in quello che dovrebbe essere un sano rapporto Stato-cittadini. Quindi, con fermezza, possiamo dire che la malagiustizia è la causa dell’ingiustizia”.

 

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