Bucce di pomodoro, agrumi ormai spremuti, olive macerate, vinacce e altri scarti industriali possono valere anche 1.000 euro al kg. Questo, se ben usati e indirizzati alla ricerca scientifica che ne ricava molecole ‘buone’ per l’industria farmaceutica, alimentare e cosmetica.

Non piu’ solo bioenergie quindi. L’analisi e’ di Fabrizio Adani, responsabile scientifico del Gruppo Ricicla, del dipartimento di produzione vegetale della facolta’ di Agraria dell’universita’ di Milano che a fine febbraio – alla terza edizione di ‘Food Bioenergy’ nell’ambito di ‘Bioenergy Italy’ a Cremona fino al 2 marzo – parlera’ del ”riutilizzo” di questi scarti, diventati ‘adulti’ e da considerare non piu’ rifiuti ma ”sottoprodotti” con ”un valore aggiunto”. ”In Italia – osserva l’esperto – ogni anno si producono in media di 12 milioni di tonnellate di scarti agroindustriali, solo la frazione organica arriva a 9 milioni”. Ma, spiega l’esperto, ”allo stato attuale non esiste un mercato consolidato per il riutilizzo di questi scarti. Esistono pero’ aziende che stanno lavorando, con notevole lungimiranza, per perfezionarne il recupero per ottenere molecole ad alto valore aggiunto” da utilizzare ”non solo per produrre energia ma anche nell’industria farmaceutica”. Grazie all’innovazione, prosegue Adani, e’ ”possibile estrarre molecole come polifenoli, carboidrati, omega 3, omega 6, pigmenti”. Nel nostro Paese pero’ c’e’ ”il tasto dolente” degli investimenti, che sono ”carenti”: scarti industriali e idee non mancano, rileva, ma le risorse da ”destinare a portare avanti un processo cosi’ interessante invece languono”. Eppure, conclude l’esperto, basti pensare che ”le molecole ottenute dal riutilizzo degli scarti agroindustriali, a seconda della loro destinazione, possono valere anche 1.000 euro al kg” e che le ”prospettive vanno nella direzione della bioeconomy”.

 

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