Tre condanne a quattro anni e una condanna a due anni e sei mesi: questo il primo verdetto della sentenza di primo grado per il crollo della Casa dello studente dell’Aquila, un processo simbolo della maxi-inchiesta sul terremoto che il 6 aprile 2009 ha distrutto il capoluogo d’Abruzzo.

Quattro imputati sono stati assolti perché il fatto non sussiste e due per non luogo a procedere. Quattro anni, come aveva chiesto il pm, per Bernardino Pace, Pietro Centofanti e Tancredi Rossicone, tecnici autori dei lavori di restauro del 2000. Due anni e sei mesi per Pietro Sebastiani. L’accusa per tutti e quattro è di omicidio colposo, disastro e lesione colpose. Per loro il giudice ha stabilito l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. Assolti perché il fatto non sussiste Luca D’Innocenzo, presidente Adsu dell’epoca, Luca Valente, nel 2009 direttore Adsu, Massimiliano Andreassi e Carlo Giovani, tecnici autori di interventi minori.

Non luogo a procedere per Giorgio Gaudiano, che negli anni ’80 ha acquisito la struttura da un privato per conto dell’Ateneo aquilano, e Walter Navarra, che ha svolto lavori minori in passato: per loro, che avevano scelto il giudizio ordinario, il processo era nella fase dell’udienza preliminare. Non luogo a procedere anche per le quattro persone morte nelle more del processo. Un risarcimento danni in via provvisionale per circa due milioni di euro per i parenti delle 8 giovani vittime del crollo della casa dello studente. In Aula molti i parenti delle vittime. Alla lettura del dispositivo commozione ma anche rabbia per una sentenza non ritenuta ‘equa’: “Gli studenti dovevano farli uscire”, ripetono parenti e amici che si aspettavano dieci condanne.

“Mi trovo nel mezzo tra parti civili, che chiedono la condanna di tutti, e difensori, che chiedono assoluzione di tutti. Quale di questi è l’ideale di giustizia? Non si tratta di questo, ma solo di applicare la legge e le norme”, è un passaggio dell’arringa del pubblico ministero Fabio Picuti nel processo per il crollo della Casa dello Studente dell’Aquila nel terremoto dell’aprile 2009. “Agli imputati – ha aggiunto – non si contesta di essere stati concausa del crollo aumentando i carichi verticali, questo è smentito dalla perizia. Concausa è la condotta omissiva, nel momento in cui aumentavano però avrebbero dovuto procedere a un adeguamento sismico, un obbligo previsto dalla legge”, ha proseguito il pm. “Le difese prendono la parte della perizia funzionale alle loro tesi e omettono quella che non è funzionale.

La Mulas l’ha detto in udienza, bastava prendere la prima pagina del progetto senza fare nessun calcolo e si sarebbero resi conto che serviva un adeguamento sismico. Quando la Mulas dice cose a sfavore è ardita e audace, se dice cose pro diventa ammirevole”. Picuti ha sottolineato che “non ho fatto fatica ad ammettere che ha distrutto le consulenze dell’accusa, per me non è ammirevole né audace, ha fatto il suò dovere. E io ho chiesto quattro condanne, ma sette assoluzioni”, ha ricordato il magistrato ha spiegato che “la parete Rei ha amplificato il crollo, che ci sarebbe comunque stato ma non in modo così devastante”. La parte restante dell’udienza – prima della riunione in Camera di Consiglio – era stata incentrata sulla richiesta delle parti civili di condannare tutti gli imputati e gli indagati, anche quelli per i quali il pm ha chiesto l’assoluzione o il non luogo a procedere.

 

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