Un atleta, l’arte e una mostra molto particolare. Luca Tesconi non è solo il primo italiano che ha conquistato una medaglia alle Olimpiadi di Londra (argento nel tiro a segno, gara di pistola 10 m. aria compressa), ma anche un artista a 360 gradi dedito in particolare alla fotografia. Sabato si inaugura nella sua Pietrasanta la prima mostra personale, ospitata dal 9 al 31 marzo a Palazzo Panichi, in collaborazione con la Gestalt Gallery.

Si chiama ‘Non Luogo’ e affronta un argomento decisamente forte: è quello che Tesconi definisce “un viaggio negli stati della mente” perché tratta di pazzia, demenza, di quelli che una volta venivano chiamati manicomi e sono stati chiusi dalle legge 180, la ‘Basaglia’ che ha affidato la cura dei malati psichiatrici alle strutture territoriali. Tesconi è andato in giro a fotografare sei di queste strutture ormai dismesse, “che in certi casi la natura si sta già riprendendo”, in Toscana, Lazio, Emilia e Lombardia, ripercorrendo la solitudine “di un mondo scomparso che però ancora c’é”. All’interno di questi che lui chiama “non luoghi della mente, e da qui il nome della mostra”, ha girato per ore, anche al buio, trovando, e immortalando con la macchina fotografica, “tracce di solitudine, del male di vivere e di disperazione, espresse attraverso scritte, disegni, schizzi di sangue e graffi sui muri.

Le pareti di certe stanze raccontano storie terrificanti”. Voleva farlo da tempo, “perché ho sempre sognato di esplorare questi luoghi: fin da bambino sono rimasto colpito dai racconti di mio padre, rappresentante di psico-farmaci del manicomio di Maggiano. Poi quando mi è stata regalata la mia prima macchina fotografica e dopo aver letto i libri di Mario Tobino (scrittore e direttore dell’ospedale psichiatrico di Lucca ndr), o altri come ‘Marta che aspetta l’albà, non ho avuto più dubbi”. “Papà mi raccontava – dice ancora il vice-campione olimpico della pistola – di queste grandi sale e di porte blindate, dei mille controlli che bisognava fare, dei medici in giro con il carrello dei farmaci e i malati in fila con gli occhi sbarrati, e a lui sembrava che ad alcuni avessero spento il cervello. Mi ha detto che qualcuno chiedeva una sigaretta e la finiva con una tirata, e che i malati considerati più pericolosi lui non li vedeva mai: erano sempre legati al letto”.

“Cosa mi è rimasto dentro ripercorrendo questo luoghi di sofferenza? Le porte blindate con quegli spioncini da dieci centimetri – racconta – che erano l’unico contatto con l’esterno, e le sbarre alle finestre. E poi le lettere che i malati spedivano e che non venivano mai recapitate, come quelle di uno scultore delle mie parti fatto rinchiudere dal padre benché sano, dopo un violento litigio perché il vecchio, anche lui scultore, era dedito all’arte sacra e il figlio a uno stile futurista o ‘alla Modigliani’.

Da una di queste strutture non è più uscito: il mio prossimo lavoro sarà dedicato proprio a lui, che si chiamava Palla e passava il tempo a scrivere e a disegnare momenti di vita e scene degli altri ricoverati”. Nel frattempo l’argento di Londra continuerà a fare anche il tiratore, perché sul podio olimpico vorrebbe risalirci a Rio 2016. In inglese ‘to shoot’ può voler dire sia ‘fotografare’ che ‘sparare’ e questa è un po’ la vita del carabiniere Tesconi: impugna la pistola o la macchina fotografica e fissa un obiettivo, dettaglio del paesaggio o bersaglio che sia. Poi non gli rimane che sparare o scattare, e i risultati sono comunque eccellenti.

 

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