di Angelo Golia Hanno creato un deserto e lo chiamano città. E’ forte il senso di impotenza che provo nel commentare la notizia di un ragazzino, non ancora 15enne, morto per mano di un suo coetaneo in una folle domenica sera. Una delle tante serate dove i giovani di tutte le età affollano i marciapiedi nei pressi dei bar e dei locali pubblici. Gli unici posti dove, ad Aversa, è possibile esprimere quel poco di socialità reale, lontana  dalla televisione o dai monitor e dalle pagine web dei social network.

Sembra essere una città senza speranza, senza futuro Aversa. Una storia millenaria schiacciata tra l’essere la periferia di Napoli e il centro di un agro dove lo stato, soltanto negli ultimi anni, ha deciso di mostrare i muscoli contro la criminalità organizzata, dimenticando che c’è bisogno di affiancare al piano puramente repressivo un percorso educativo.

Nonostante molti boss e affiliati siano in carcere, infatti, nel nostro territorio continua a vigere un modus operandi fatto di rabbia incontrollata e atteggiamenti da camorrista. Comportamenti prevaricatori, fenomeni di bullismo che portano a conquistare il rispetto di chi li circonda. Un modo di fare che per molti, forse troppi, è diventato socialmente accettabile e che, invece, andrebbe contrastato con ogni mezzo.

Già immagino, e sorrido, la reazione scomposta di molti aversani che magari invocheranno le frontiere tra Aversa e il circondario. Ma la città normanna non è un’isola felice.

Molti ad Aversa vivono nella propria solitudine mancando, totalmente, un senso di comunità che potrebbe essere foriero di valori positivi. Non una sola comunità monolitica ma tante comunità impegnate, aggregate su affinità di ideali e di obiettivi. Un percorso per trovare il senso del comune. Altrimenti Aversa sarà sempre una grande città dormitorio o un grande centro commerciale. Qualcosa già c’è ma, evidentemente, è ancora poco. L’associazionismo, la chiesa, i partiti politici, la società civile vivacchiano in una nicchia che non riesce a fare breccia in nessun gruppo sociale presente in città.

Su questo, andando oltre il momento emozionale, dovrebbero iniziare ad interrogarsi le istituzioni locali con in testa il comune. E’ giunto il momento di incentivare socialità e associazionismo (magari facendo vedere la luce alla famosa Casa delle associazioni) per avviare percorsi di contrasto concreto alle logiche che hanno devastato la convivenza civile di questo martoriato territorio.

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