Il caso Ruby e quello che è successo attorno alle serate ad Arcore di Silvio Berlusconi è stato un caso di “dismisura, abuso di potere, degrado, tre parole che ho letto sui giornali e che condivido”. Lo ha detto Lele Mora, rendendo dichiarazioni spontanee al processo ‘Ruby bis’ e facendo dunque una sorta di ‘mea culpa’.
“Io ne sono stato passivo concorrente”, ha aggiunto l’ex talent scout. All’inizio dell’udienza, prima che prendessero la parola per l’arringa i suoi difensori, gli avvocati Gianluca Maris e Nicola Avanzi, Lele Mora ha letto una breve dichiarazione spontanea. Ha esordito dicendo di voler pronunciare solo “poche parole per non violare il silenzio che mi sono imposto e che per me è l’unica condotta dignitosa”. Ha spiegato più volte che nel periodo trascorso in carcere, per l’accusa di bancarotta, “ho avuto modo di pensare a lungo, perché il carcere ti impone una pausa”. L’ex talent scout ha detto di aver pensato alle tante polemiche aggressive del passato e ha chiesto scusa in particolare ai giornalisti. Ha però riconosciuto, citando tre parole lette sui giornali dopo la sentenza a carico di Silvio Berlusconi per il caso Ruby, che in questa vicenda c’é stata “dismisura”, ma anche “abuso di potere e degrado, così è stato”. E ha sottolineato che lui ne è stato “passivo concorrente, ma oggi non voglio più mangiare cibo avariato e lascio il compito di chiarire ai miei difensori”. Oltre ad aver ammesso di aver portato alcune ragazze ad Arcore, ma sottolineando di non averle mai costrette, Mora ha aggiunto: “é vero, ho ricevuto un prestito da Berlusconi tramite Fede con cui potevo salvare la mia società”. Per i fatti di bancarotta, ha concluso, “mi sono assunto le mie responsabilità, per quelli di questo giudizio valuterete voi giudici”.