Il governo incassa la doccia fredda della Consulta sull’abolizione delle Province e rimodula la sua strategia annunciando la presentazione di un disegno di legge costituzionale ad hoc che verrà esaminato domani in Consiglio dei ministri. E’ quanto ha fatto sapere lo stesso premier Enrico Letta nel corso di un vertice di maggioranza a Palazzo Chigi, ribadito poi dal titolare dei Rapporti col Parlamento Dario Franceschini. Ma l’ipotesi avanzata dall’esecutivo trova l’opposizione dell’Upi, l’Unione delle Province d’Italia, che per bocca del suo presidente, Antonio Saitta, definisce “inaccettabile” un provvedimento di questo tipo tarato solo sulle Province. “Tutto ciò conferma – spiega stizzito il leader delle Province – che la politica non vuole riformarsi”.
A dar man forte al premier svetta in prima fila il ministro per gli Affari Regionali Graziano Delrio, già presidente dell’Anci, che in un’intervista a un quotidiano riconosce che “il decreto per riformare una materia costituzionale è uno strumento improprio”, ma poi spegne le speranze delle Province aggiungendo che “i cittadini devono stare tranquilli, perché la riforma degli enti locali e la cancellazione delle Province si farà comunque”. Sulla stessa frequenza il ministro per le Riforme Gaetano Quagliariello, che esorta a non far diventare uno slogan l’abolizione delle Province, perché “non si tratta di cancellare con il bianchetto un ente, ma di riorganizzare i livelli dello Stato per arrivare a un risparmio per il Paese”. Ma l’Upi – che pure aveva collaborato lo scorso anno alla stesura del progetto di riordino con il dl 188, insieme all’allora ministro per la P.A. Filippo Patroni Griffi, naufragato poi il 10 dicembre in Commissione Affari Costituzionali di Palazzo Madama – si mette di traverso e chiede polemico: “E il dimezzamento dei parlamentari quando si farà? Quando si rivedranno gli sprechi causati dal sovrapporsi delle competenze tra Stato e Regioni che hanno fatto lievitare la spesa pubblica in questi 10 anni?”. E Saitta attacca l’esecutivo affermando che “torna a proporre l’ennesimo provvedimento buono solo per conquistarsi le pagine dei giornali”, ma anche di aver messo in campo “una risposta rabbiosa contro un giudizio tecnico della Corte Costituzionale che non ha salvato le Province, ma ha dichiarato incostituzionali norme che lo erano palesemente, e a detta di tutti”. I timori che serpeggiano in casa Upi riguardano anche il testo del ddl costituzionale che verrà squadernato domani a Palazzo Chigi, che potrebbe risultare molto simile a quello presentato dall’Idv (AC 1990-A) nel 2011, respinto dall’Aula di Montecitorio il 5 luglio di quell’anno con il voto contrario di Pdl, Lega e Responsabili e l’astensione del Pd. Proprio col Pd se la prendono poi 15 presidenti dem di Province, che attaccano il partito per la reazione mostrata nei confronti della sentenza della Consulta. “Noi non siamo una lobby – ammoniscono – siamo rappresentanti eletti nelle istituzioni del Paese, parti fondative della Repubblica e siamo stati scelti per assolvere il nostro mandato in quanto espressione del Partito Democratico”.