Tre personalità caratterizzate ”da spiccate attitudini criminali” e dalla ”comune spregiudicatezza”. E’ il profilo di monsignor Nunzio Scarano, di Giovanni Carenzio e dell’ex 007 Giovanni Maria Zito tratteggiato dal Tribunale del riesame di Roma. Il Tribunale del Riesame, nelle motivazioni al rigetto dell’istanza di scarcerazione, rileva anche la capacità dei tre di ”gestire uomini, istituzioni e cose asservendoli al proprio tornaconto personale”.

I tre sono in carcere dal 28 giugno scorso per concorso in corruzione nell’ambito dell’inchiesta sul fallito tentativo di rientro in Italia di 20 milioni di euro ritenuti riconducibili agli imprenditori Maurizio, Cesare e Paolo D’Amico. All’alto prelato, già contabile dell’Apsa, è contestata anche la calunnia. Una personalità “particolarmente inquietante”. Sono le parole del Tribunale del Riesame che spiega i motivi, in dieci pagine, per i quali è stata negata la scarcerazione a monsignor Nunzio Scarano. Tra l’altro, con riferimento all’accusa di calunnia (la falsa denuncia di smarrimento di un assegno da 200 mila euro consegnato a Giovanni Maria Zito), il tribunale afferma che Scarano ha agito da “consumato delinquente”. Quanto a Zito, i giudici sottolineano la sua “disponibilità a praticare la scorciatoia dell’illecito per il proprio utile personale, a prezzo della violazione dei propri doveri istituzionali”. Analogo giudizio di pericolosità viene espresso anche per Carenzio “il quale, pur avendo garantito lo smobilizzo dell’ingente somma di 41 milioni di euro, non si presentava all’appuntamento con Zito, tradendo gli accordi presi con i complici, e avrebbe prelevato dall’istituto bancario il denaro per trasferirlo a una sua fiduciaria”.

 

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