Spintoni, dispetti, ore lasciato solo. È quello che avrebbe subito un bimbo affetto da autismo di 9 anni: l’informazione di garanzia è stata notificata alla sua insegnante di sostegno quarantenne, accusata di maltrattamenti. La donna è stata rinviata a giudizio, ma non è sottoposta ad alcuna misura cautelare. I fatti si sarebbero svolti in una scuola elementare della Bassa Padovana, dall’inizio di quest’anno scolastico, a settembre, fino, indicativamente, al 20 dicembre, quando le attività investigative hanno portato a ottenere elementi tali da consentire alla procura di procedere al rinvio a giudizio. In particolare, fondamentali, sarebbero state le telecamere installate a scuola, che avrebbero ripreso gli atteggiamenti aggressivi della maestra nei confronti del bambino che doveva seguire. Tutto è partito da segnali di malessere crescente manifestati dal bimbo, tra tutti irrequietezza e aggressività, che secondo il padre sarebbero state apparentemente immotivate. Per questo, una volta maturati i sospetti, l’uomo si è rivolto ai carabinieri. A coordinare l’inchiesta è stato il pubblico ministero Giorgio Falcone, che nei giorni scorsi ha fatto recapitare all’indagata l’avviso di conclusione delle indagini preliminari e l’informazione di garanzia. L’insegnante dovrà rispondere di maltrattamenti, reato che si configura in caso di condotte “reiterate nel tempo e lesive dell’integrità fisica e della dignità della persona offesa”, con l’aggravante di averli compiuti ai danni “di minore o persona disabile”. Secondo le prove raccolte dall’Arma, e valutate dal pubblico ministero, la donna avrebbe continuato nel tempo a maltrattare il piccolo. Alla paziente raccolta delle prove testimoniali, acquisite ascoltando dirigente scolastico, insegnanti, educatori, collaboratori scolastici, si sono aggiunte quelle raccolte dalle immagini delle telecamere “spia”, piazzate nelle aule frequentate dal bambino e dalla sua insegnante. Nello specifico, come si legge nell’informazione di garanzia, la maestra avrebbe “più volte strattonato l’alunno, trascinandolo per un braccio”. In un’occasione, sarebbe arrivata a “metterlo forzatamente seduto su una sedia e trattenerlo lì, anche contro la sua volontà”. Poi le provocazioni e i dispetti, come quando la donna avrebbe “buttato giù una torre di mattoncini pazientemente costruita dal bimbo, la cui reazione è stata quella di mordersi il braccio. In quella circostanza, l’insegnante non sarebbe nemmeno intervenuta per interrompere l’atto di autolesionismo, limitandosi poi a dire al bimbo di coprirsi il braccio con la manica del maglione, che così sarebbe guarito”. Altro episodio sarebbe stato quello in cui l’indagata avrebbe “strappato dalle mani un foglio di carta dove il piccolo stava disegnando, provocando una reazione aggressiva di quest’ultimo. Reazione a cui la maestra rispondeva con violenza, contenendo fisicamente il bambino, strattonandolo, afferrandolo per le braccia e tentando di colpirlo con una ginocchiata al corpo”. Capitolo a parte costituiscono le condotte omissive, in cui l’alunno sarebbe stato abbandonato a sé stesso invece che seguito. “Lo trascurava ripetutamente e per periodi prolungati per consultare e utilizzare il proprio telefono cellulare”. Inoltre si rivolgeva a lui “con toni bruschi, alzando la voce e sgridandolo”. Per di più “inventava le scuse più varie per liberarsi del minore o comunque per mortificarlo, in un’occasione affermando che lo stesso si era sporcato i pantaloni e la biancheria intima con i propri bisogni fisiologici, circostanza rivelatasi del tutto inventata all’arrivo del padre”. Qualche tempo dopo, la donna avrebbe telefonato nuovamente al papà chiedendogli di andare a prendere il figlio febbricitante. Anche in quel caso però si sarebbe trattata di una bugia solo per liberarsi del bambino. Un comportamento vergognoso. Altro che insegnante. A una così bisognerebbe insegnare a vivere.