E’ dal 1982 che Anna e Filomena, due signore della provincia di Bari, si sfidano a colpi di ricorsi per degli alberi di agrumi confinanti tra le loro proprieta’. L’una, infatti, resiste alla richiesta dell’altra che vorrebbe che i rami, sconfinanti sul muretto della propria abitazione, venissero tagliati.
La vicenda, tra un tribunale e l’altro, si e’ trascinata fino in Cassazione che oggi mette una parola fine al contenzioso. Risale al 3 marzo del 1982 la prima citazione in giudizio di Anna, da parte di Filomena, che chiedeva la ”recisione, ad altezza muro, dei fusti e dei rami degli alberi” appartenenti alla vicina, ”in adiacenza al muro di confine con il cortile di sua proprieta”’. Con un rinvio tra un procedimento e l’altro, una prima pronuncia non definitiva arriva nel 2002 quando il giudice di Pace rimette la causa, per competenza, al Tribunale del capoluogo. Il primo luglio 2003, con una sentenza di primo grado, il giudice di merito decide che i rami vengano tagliati. Ma la signora Anna non si arrende e fa ricorso in appello chiedendo che venga dichiarato il proprio diritto ”di mantenere gli alberi di agrumi nel luogo in cui si trovano per intervenuta usucapione” poiche’ le piante ”risalivano certamente ad alcuni decenni orsono”. Anche il giudice di secondo grado, pero’, da’ torto ad Anna. E cosi’ nel 2012, dopo altre due pronunce del tribunale del 2005 e del 2007, arriva la decisione della Seconda Sezione Civile della Cassazione, sentenza n.14632: ”il diritto di far protendere i rami degli alberi del proprio fondo in quello confinante non puo’ essere acquistato per usucapione – spiega la Cassazione – perche’ l’art 896 codice civile implicitamente lo esclude riconoscendo espressamente al proprietario del fondo sul quale si protendono il potere di costringere il vicino a tagliarli in qualunque tempo”. Ora la signora Anna non solo dovra’ recidere i rami, ma anche pagare 1.700 euro di spese processuali.