Lavoravano ‘in nero’, senza contratto, per poter vivere, anzi per “sopravvivere”, per pagare il mutuo per la casa o per poter semplicemente fare benzina. In quel laboratorio di confezioni dove cucivano magliette e tute da ginnastica lavoravano dalle 8 alle 14 ore: dipendeva se arrivavano o meno buone commesse. Prendevano 3euro e 95 centesimi all’ora. Le storie delle quattro operaie morte nel crollo della palazzina di via Roma, a Barletta, è quella di donne del Sud che combattono, che si danno da fare per potersi sposare o per pagare un mutuo, per dare una mano ai risicati bilanci di famiglia. “Lavoravano in nero per pochi euro all’ora e dopo alcune verifiche – fa sapere la Cgil di Barletta-Andria-Trani – sembra che l’azienda fosse completamente sconosciuta all’Inps”. Le operaie morte nel crollo erano giovani donne che si rimboccavano le maniche per avere qualche soldo in tasca e realizzare il sogno di una vita semplice e tranquilla, accettando di lavorare in condizioni difficili. E purtroppo – dice il segretario generale della Cgil Bat, Luigi Antonacci – “molte sono le lavoratrici che accettano situazioni analoghe a quelle delle operaie morte nel crollo perché guadagnare pochi euro al giorno serve comunque per mandare avanti la famiglia e prendersi cura dei propri figli”. Matilde, Giovanna, Antonella e Tina sono morte in quel laboratorio, mentre erano al lavoro, travolte dalle macerie della palazzina e insieme con loro è morta la figlia 14enne della coppia di proprietari della piccola azienda, i coniugi Cinquepalmi: si sono salvati perché erano andati a trovare in ospedale l’anziana madre dell’uomo. E c’erano anche loro, un po’ in disparte, lontani dagli altri parenti, oggi al policlinico di Bari, davanti all’obitorio dove sono stati ricomposti i resti delle vittime, sottoposti a esami medico-legali. I parenti delle vittime si sono stretti nel loro dolore, abbracciandosi. Alle 14, dopo ore di attesa, hanno avuto finalmente l’autorizzazione dal magistrato per poter scendere nella camera dove si trovavano le spoglie dei loro cari: quattro per volta, non di più. Anche questa è sembrata una beffa. Alcuni, i più anziani, sono stati colti da malore e sono stati accompagnati in autoambulanza al pronto soccorso del policlinico. Non ce l’ha fatta a reggere il peso del dolore anche il marito di Tina Ceci, di 37 anni, l’ultima ad essere estratta dalle macerie la notte scorsa: si è allontanato tra le lacrime, sorretto dai familiari. “Era gente semplice, – hanno detto ai giornalisti alcune delle persone che sostavano in lacrime davanti all’obitorio – gente che lavorava per poter sopravvivere”. “Contratto?, nessun contratto – hanno detto – avevano le ferie e la 13esima pagate, questo sì, ma non erano ‘regolari'”. Non è, il loro, un voler puntare l’indice accusatorio: le loro parole sono sembrate rassegnate ad una situazione che è piuttosto diffusa in tutta la Puglia, nel Sud. E anche il sindaco di Barletta, Nicola Maffei, è di questo avviso: “Non mi stento di criminalizzare chi – dice – in un momento come questo viola la legge, assicurando, però, lavoro a patto che non si speculi sulla vita delle persone”. “Con la crisi del tessile-abbigliamento-calzaturiero – fa anche presente il sindacalista della Cgil Antonucci – un tempo trainante per l’economia locale, molte grandi aziende hanno chiuso i battenti e sono rimaste solo tante piccole attività sconosciute all’Inps, realtà a conduzione familiare e ubicate nei posti più impensabili: sottani, scantinati o locali a piano terra in edifici antichi, proprio come quello di via Roma”. “Mia nipote – racconta oggi la zia di una delle vittime – prendeva 3,95 euro all’ora, mia nuora, che lavorava con lei, quattro euro”. “Mia nipote è morta soffocata – continua – era gonfia, aveva il collo e il viso di colore viola. Mia nipote aveva il terrore negli occhi. I suoi occhi erano spalancati, pieni di paura”.

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