Tutti colpevoli: di aver sottovalutato il pericolo, di aver fornito informazioni “imprecise e incomplete”, di esser venuti meno ai loro doveri. A tre anni e mezzo dal terremoto che sconvolse L’Aquila, arriva la prima condanna ‘politica’: e a pagare sono gli scienziati che il 31 marzo del 2009, 5 giorni prima della scossa che distrusse la città e provocò 309 morti, parteciparono alla riunione della Commissione Grandi Rischi, convocata appositamente dall’allora capo della Protezione Civile Guido Bertolaso per fare il punto della situazione e valutare le misure da mettere in atto in conseguenza dello sciame sismico che da giorni interessava la città.
Dopo 5 ore di camera di consiglio, il giudice del tribunale dell’Aquila Marco Billi ha condannato a 6 anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose l’allora presidente della Grandi Rischi Franco Barberi, l’allora vicecapo della Protezione Civile Bernardo De Bernardinis, l’allora presidente dell’Ingv Enzo Boschi, il direttore del servizio sismico del Dipartimento della Protezione Civile Mauro Dolce, il direttore del centro nazionale terremoti Giulio Selvaggi, il direttore di Eucentre Gian Michele Calvi, il professore di fisica dell’Università di Genova Claudio Eva. Gli scienziati sono stati dichiarati colpevoli della morte di 29 persone e del ferimento di quattro, i cui comportamenti erano stati messi direttamente in relazione alla sottovalutazione del pericolo da parte della Commissione Grandi Rischi. Per le altre vittime del sisma non era stato rilevato un nesso di causalità con le valutazioni della Grandi Rischi. Condannata come responsabile civile anche la Presidenza del Consiglio; il Comune dell’Aquila, parte civile nel processo, dovr’ essere risarcito. Una sentenza pesantissima non tanto per l’entità della pena – comunque elevata – quanto per le ripercussioni che potrebbe avere e che già sta avendo sulla comunità scientifica. Di cui si fa portavoce il presidente del Senato Renato Schifani. “E’ una sentenza un po’ strana e un po’ imbarazzante. Chi sarà chiamato in futuro a coprire questi ruoli, si tirerà indietro”. Ma non solo: l’intero processo non ha accertato né esaminato le responsabilità politiche, nazionali e locali, e il ruolo avuto da questi soggetti dopo la riunione della Commissione. Gli avvocati dei sette imputati lo hanno ripetuto più volte durante le udienze, sottolineando che responsabilità degli scienziati era quella e soltanto quella di fornire un quadro chiaro a chi poi doveva decidere e comunicare le decisioni alla popolazione. Lo sa anche l’accusa, visto che a chi gli chiedeva se oggi alla sbarra “mancasse qualcuno”, il pm Fabio Picuti ha risposto così: “C’era chi abbiamo individuato”. In ogni caso, nel valutare le responsabilità degli scienziati il giudice – nonostante la concessione delle attenuanti generiche – è andato oltre quanto richiesto dal pm, che nella requisitoria aveva chiesto una condanna a quattro anni, e ha disposto una provvisionale nei confronti delle parti civili di complessivi 7,8 milioni. Cosa lo abbia spinto ad infliggere una pena più dura di quella chiesta, lo si saprà tra novanta giorni quando depositerà le motivazioni della sentenza. Ma è già evidente che il Tribunale ha condiviso le conclusioni della requisitoria del pubblico ministero, ribadite anche oggi nel corso delle repliche: ci fu, parole del pm Fabio Picuti, una “monumentale negligenza” che portò ad un “difetto di analisi del rischio”. Una valutazione, come scritto nel capo d’imputazione, “approssimativa, generica e inefficace”, sia in relazione all’attività della commissione sia ai doveri di “di prevenzione e previsione”, che ha portato gli scienziati a fornire, dopo la famosa riunione, “informazioni imprecise, incomplete e contraddittorie sulla pericolosità dell’attività sismica, vanificando le attività di tutela della popolazione”. Di tutt’altro avviso le difese, che hanno annunciato ricorso in appello parlato di “sentenza sbalorditiva”, di “morte del diritto giuridico”, di “provvedimento incomprensibile in punto di diritto e di fatto”. “Questa non è giustizia” sono state le uniche parole di Eva. Mentre l’ex presidente dell’Ingv Enzo Boschi, che non era in aula, si è detto, “avvilito e disperato”. “Pensavo di essere assolto – ha aggiunto – ancora non capisco di cosa sono accusato”. Chi era invece presente, e lo è stato per tutte le udienze, è l’attuale presidente dell’Ispra De Bernardinis. E a lui che si è rivolto alla fine dell’udienza il pm per stringergli la mano. “Sono innocente, davanti a Dio e agli uomini – ha detto – Non c’erano le condizioni per fare scelte diverse, quelle erano le scelte che potevo fare e suggerire al capo Dipartimento”. “Io avrei voluto evitare questi morti – ha aggiunto De Bernardinis – come avrei voluto evitare quelli del ’94 in Piemonte e quelli dell’Irpinia. Ma se saranno dimostrate le mie responsabilità in tutti i gradi di giudizio, le accetterò fino in fondo”. E fino in fondo vogliono andare anche i cittadini de L’Aquila visto che, come dice Ilaria Carosi, sorella di una delle 309 vittime, “quello di oggi è solo un primo passo, ma mi sembra che le cose vadano nel verso giusto”. Quando alle 17 in punto il giudice Billi ha letto la sentenza, in piazza Duomo, luogo simbolo della città martoriata, è scoppiato un applauso. “Volevamo questa sentenza per capire, ma il dramma non si cancella – ha detto ai suoi concittadini il sindaco Massimo Cialente – Ora vogliamo giustizia anche per tutto quello che è successo dopo il 6 aprile”.