Sentenza Thyssenkrupp, il giorno dopo. La procura di Torino comincia a studiare il ricorso in Cassazione ma è una procura solcata da stati d’animo profondamente differenti.

Se il pm Raffaele Guariniello continua a dirsi “molto soddisfatto” per la condanna a dieci anni inflitta all’ex ad della multinazionale dell’acciaio (“é tramontata un’epoca e ne è cominciata una nuova, gli imprenditori devono fare prevenzione altrimenti rischiano davvero il carcere”), le sue colleghe Laura Longo e Francesca Traverso non nascondono la delusione: l’ipotesi dell’omicidio volontario, su cui tanto avevano puntato, è stata spazzata via. La Corte d’assise d’appello presieduta da Giangiacomo Sandrelli ha ritenuto che non ci fossero le prove: in sostanza, non si è potuto dimostrare che il top manager aveva adottato la sua politica aziendale andando avanti a tutti i costi accettando persino il rischio di un disastro e di una strage. Questo sarebbe stato un omicidio “con dolo eventuale”. Si è trattato invece di “colpa cosciente”: tutti i sei imputati sapevano che la fabbrica versava in condizioni di abbandono, il precedente incendio del 2002 li aveva messi anche in guardia, ma credevano che la situazione si sarebbe risolta in qualche modo. Le motivazioni, scritte dal giudice a latere Paola Perrone, saranno depositate fra tre mesi. Nel frattempo le pm Longo e Traverso si arrovellano su due punti. Dolo o colpa a parte, si chiedono perché la Corte ha applicato la formula del “concorso formale”. “Vuol dire che gli imputati hanno commesso una sola violazione: la rinuncia a montare un impianto di rilevazione incendi sulla linea che andò a fuoco. Ma noi di condotte sbagliate ne avevano trovate tantissime”. Restano comunque aperti ancora tre filoni di inchiesta. C’é il fascicolo sui testimoni falsi (ma molti hanno ritrattato), c’é la parte dedicata alle negligenze degli ispettori dell’Asl e c’é il capitolo “Thyssen-bis” in cui è indagato un consulente dell’azienda, Berardino Queto, che stilò il documento di valutazione del rischio. Intanto i familiari delle sette vittime del rogo del 2007 chiedono ufficialmente di incontrare Napolitano. Antonio Boccuzzi, l’operaio scampato alla tragedia, parlamentare del Pd confermato dalle ultime elezioni, ha consegnato la loro lettera in Prefettura. Al Capo dello Stato esporranno i motivi delle loro proteste di ieri (in primo luogo la riduzione delle pene in primo luogo) auspicando che “la piaga delle morti sul lavoro e delle malattie professionali venga contrastata con ogni strumento giudiziario, giuridico e culturale”. Dal comitato degli ex colleghi delle vittime continuano a piovere, intanto, comunicati al vetriolo che parlano di “sentenza della giustizia padronale” e che al tempo stesso strizzano l’occhio al Movimento 5 Stelle “che ha la possibilità di cambiare questo sistema in sfacelo”.

 

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