L’ipotesi di reato è quella di falsa testimonianza. Con questa accusa è stato indagato dalla procura di Palermo l’ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta “trattativa” tra Stato e mafia. La posizione di Mancino, scrivono alcuni quotidiani (La Stampa e Il Giornale di Sicilia), è cambiata nelle ultime settimane, dopo la sua deposizione al processo al generale Mario Mori il 24 febbraio scorso. In tribunale quel giorno i pm Antonio Ingroia e Nino Di Matteo avevano detto che “qualche uomo delle istituzioni mente”.

I pm ritengono che Mancino insediatosi al Viminale il primo luglio 1992 sapesse della trattativa che prevedeva di cedere al ricatto dei boss in cambio della rinuncia all’aggressione terroristica e ai progetti di uccisione di altri uomini politici. E che ora l’ex presidente del Senato ed ex vicepresidente del Csm neghi l’evidenza per coprire “responsabilità proprie e di altri”. L’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli ha più volte sostenuto di essersi lamentato con lui per il comportamento dei Ros. Nel giugno ’92, secondo i magistrati, Mori e il capitano Giuseppe De Donno avrebbero infatti comunicato all’allora direttore degli affari penali del Ministero di via Arenula, Liliana Ferraro l’avvio dell’interlocuzione con Vito Ciancimino “per ottenere una copertura politica – sostengono i pm – dall’ex sindaco mafioso sulla trattativa”. Mancino ha sempre negato. Il 24 febbraio aveva però detto che Martelli gli avrebbe accennato di “attività non autorizzate del Ros” e che lui gli avrebbe risposto di parlarne alla procura di Palermo. Mancino inoltre ha sempre negato di avere incontrato il giudice Paolo Borsellino il giorno del suo insediamento al Viminale.

 

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