“Capo Stazione Potenza Inferiore, treno 8017 fermo in linea tra Balvano e Bella Muro per insufficienza forza trazione, attende soccorso”: così era scritto nel dispaccio di servizio trasmesso con il telegrafo dalla stazione di Baragiano (Potenza) a quella di Potenza Inferiore. “Ero telegrafista di turno a Potenza – racconta all’ANSA Luigi Quaratino, oggi quasi 91enne – in quella notte di 70 anni fa, tra il 2 ed il 3 marzo 1944, quando l’8017 si fermò nella galleria ‘delle Armi’ tra le stazioni di Balvano e Bella Muro della linea Battipaglia-Potenza-Metaponto” e consegnò, con il suo carico di morte, il più grave disastro della storia ferroviaria italiana: oltre 520 vittime (bilancio ufficioso, quello ufficiale non è mai stato fatto) soffocate dal fumo delle locomotive.
I morti furono frettolosamente sepolti in una fossa comune del piccolo cimitero di Balvano (Potenza), incapace di accogliere tante salme. Era il tempo della seconda guerra mondiale: i treni, molti dei quali composti dai cosiddetti “carri arredati” (ossia da vagoni merci allestiti con panche di legno), erano pochi e non sufficienti a soddisfare le esigenze delle popolazioni. I viaggiatori, con o senza biglietto, prendevano d’assalto ogni tipo di treno e si arrangiavano nel miglior modo possibile, viaggiando sull’imperiale dei vagoni, nelle ritirate e addirittura sui respingenti. Si trasportava di tutto, finanche animali vivi, e lo scambio delle merci era regolato unicamente dalle leggi del “mercato nero”. “Quel 2 marzo 1944 – racconta Luigi Quaratino – iniziai alle 20 il mio turno di servizio; dalle consegne del collega che aveva lavorato nel pomeriggio seppi che durante la notte vi sarebbero stati due treni straordinari, entrambi da Battipaglia a Potenza Inferiore: una locomotiva ad orario libero e l’8017. Quest’ultimo treno sarebbe dovuto arrivare a Potenza intorno alle 2 di notte. Tra le ore 21 e le 22, sempre della stessa sera, la stazione di Battipaglia con dispaccio di servizio, comunicò l’ora di partenza dell’8017, la doppia trazione (cioé due locomotive), il peso che le due locomotive trainavano, nonché il numero dei carri (47, per quel che ricordo). Iniziò così il viaggio dell’8017 che si avviò verso il tragico destino che si compì nella salita della galleria ‘delle Armi’. Era una notte fredda ed io, come sempre, controllavo i nove apparati di cui era dotato l’ufficio. Seguivo con particolare attenzione la marcia dei treni presenti sulle tre linee che facevano (ed ancora oggi fanno) capo alla stazione di Potenza Inferiore per mettere in condizione il capostazione, dirigente il movimento, di regolare la circolazione dei treni incrocianti. Verso l’una cominciai a seguire la marcia dell’8017 e chiesi notizie alla stazione di Baragiano che, al telegrafo, rispose: ‘treno partito da Balvano ore 00.50’. Col trascorrere delle ore tutto sembrava regolare, ma dell’8017 nessun’altra notizia oltre a quella già ricevuta. Intorno alle tre, mentre ero impegnato in altra corrispondenza telegrafica, la mia attenzione fu attirata da un sos lanciato sul solito circuito dalla stazione di Baragiano; quest’ultima m’invitava a ricevere un urgente dispaccio di servizio che diceva dell’8017 ‘fermo in linea tra Balvano e Bella Muro per insufficienza forza trazione, attende soccorso'”. Il messaggio – ricorda l’allora telegrafista – non lasciava trasparire la gravità di quel che stava accadendo nella galleria “delle Armi” e tutto lasciava pensare “ad una normale richiesta di soccorso dovuta ad un guasto tecnico ad una delle due locomotive”. Il capostazione di Potenza Inferiore si adoperò per allestire nel più breve tempo possibile il mezzo di soccorso: la locomotiva partì da Potenza poco dopo le 5 del 3 marzo, per fornire la forza necessaria per trainare l’8017 fuori dalla galleria. “Ma la situazione era ben diversa da quella che si pensava”, ricorda Quaratino. “Le notizie che man mano giungevano e i testi dei telegrammi di servizio diretti ai vari indirizzi, comprese le Autorità istituzionali della Provincia che mi toccava transitare, misero in luce la tragicità di ciò che era accaduto nella galleria. Oltre 520 viaggiatori, avvelenati dai gas tossici sprigionati dalle due locomotive, erano morti”. Nelle ore che seguirono la tragedia, appena la galleria si liberò dal fumo e dai gas tossici, il treno 8017, col suo carico mortale, fu retrocesso e ricoverato sui binari del piccolo scalo merci e le salme allineate sul marciapiede e nelle zone circostanti la stazione di Balvano. Dopo quel gravissimo incidente, furono adottati provvedimenti restrittivi per salvaguardare la sicurezza: “fu ridotta – ricorda l’allora telegrafista – la prestazione dei mezzi di trazione con l’assoluto divieto della doppia trazione e della spinta in coda; furono istituiti dei posti di vigilanza ai due imbocchi della galleria per accertare la regolarità della ventilazione intervallando di sessanta minuti la circolazione dei treni a trazione a vapore. I provvedimenti restarono in vigore per diversi anni e furono rivisti solo nel 1959 in seguito all’entrata in servizio delle locomotive diesel. Perché l’8017 si fermò nella galleria? Fu a causa dell’eccessivo peso trainato o di un guasto ad una delle due locomotive? E, con il convoglio fermo, perché i macchinisti di due locomotive di così elevata potenza (una 480 e una 476) non riuscirono a rimuovere il treno? Malinteso fra di loro o con i frenatori che, serrando i freni, inchiodarono il treno alle rotaie? Domande alle quali non si è mai riusciti a dare una risposta e che lasciano tuttora insoluto il mistero sulle cause della più grave sciagura ferroviaria avvenuta in Italia.