Nuovi dettagli sull’attacco alla sede di rappresentanza americana a Bengasi consolidano la tesi di un attacco premeditato, organizzato da tempo, e mirato a colpire al cuore gli Usa. Fonti libiche hanno evidenziato che l’assalto al compound, iniziato verso le 22, e’ stato portato a compimento da decine di uomini armati, ma che il vero obiettivo era quello di spingere la delegazione americana a riparare nella ‘casa sicura’ approntata dalle forze di sicurezza dove altri uomini armati, 50 secondo alcune fonti, attendevano l’arrivo dei diplomatici per sferrare un assalto sanguinoso, anche utilizzando i mortai.
Il Dipartimento di Stato Usa, offrendo il resoconto ufficiale, ha ammesso che per diverse ore la sorte dell’ambasciatore Chris Stevens e’ rimasta ignota: “Si trovava nel compound insieme a un ufficiale per la sicurezza e il funzionario Sean Smith. Poi si sono persi di vista, a causa del fumo e del fuoco che divampava nell’edificio, mentre cercavano di uscire”. L’addetto alla sicurezza ci riesce, poi rientra per salvare gli altri, ma trova il cadavere di Smith. “Non e’ riuscito a trovare l’ambasciatore”. ”Erano in 400 ad attaccare, agli americani sarebbe servito un esercito per respingerli”, e’ la versione di un testimone Abdel Ibrahim, al Guardian. Dopo ulteriori tentativi, resi difficili dalle fiamme, il fumo e “l’intensa sparatoria” iniziata all’esterno, gli uomini della sicurezza Usa e libica iniziano ad evacuare il personale verso la “casa sicura”. Arrivati nel luogo ‘segreto’, che pare fosse una fattoria fortificata, finiscono sotto il fuoco degli assalitori, con una sparatoria durata circa due ore. Perdono la vita in due. Tra loro, scrive il Daily Mail, l’ex Navy Seal Glen Doherty. Imprecisato il numero dei feriti: secondo fonti locali, almeno 30 tra americani e libici. Alle due di notte, riferisce ancora il Dipartimento di Stato Usa, gli americani aiutati dai libici riescono a riprendere il controllo della situazione. “Abbiamo pensato che Stevens fosse riuscito a uscire dal consolato e portato in ospedale. Non conoscevamo lo stato delle sue condizioni. Successivamente il cadavere ci e’ stato consegnato all’aeroporto di Bengasi”. Il comandante delle operazioni speciali della Brigata libica 17 febbraio, Fathi al-Obeidi, aggiunge altri dettagli: “All’1.30 mi hanno chiamato da Tripoli dicendomi che un elicottero con 8 Marines stava arrivando dall’aeroporto militare di Mitiga per l’operazione di salvataggio”. All’arrivo, un convoglio di dieci veicoli e’ partito diretto alla ‘casa sicura’ per portare in salvo i superstiti. “Li’ pero’ abbiamo trovato una quarantina di persone, poi e’ iniziato un attacco massiccio”, racconta ancora il militare libico. ”E’ iniziato a pioverci addosso di tutto, almeno sei colpi di mortaio sono caduti a poca distanza, uno ha ferito un americano, uno e’ caduto sull’edificio ferendone un altro”, aggiunge Fathi al-Obeidi. Secondo un responsabile delle autorita’ libiche, questo secondo attacco “era stato pianificato, ed e’ scattato ad orologeria”. Poi sono arrivati i rinforzi delle brigate libiche, con una dozzina di veicoli pesantemente armati, che sono riusciti a mettere in fuga gli assalitori. All’alba infine il convoglio con i superstiti e’ arrivato all’aeroporto di Bengasi, dove a quanto pare di capire, il cadavere di Stevens e’ stato consegnato agli americani.