L’idea che il principale capo d’accusa individuato dalla polizia per i marò in carcere a Trivandrum sia l’omicidio volontario ha avuto l’effetto di uno tsunami nelle relazioni fra Italia e India. E in questo ambito la Farnesina, che considera “inaccettabile” anche solo la semplice ipotesi di tale reato, ha deciso di mostrare concretamente la propria irritazione e quella del governo italiano richiamando prima a Roma per consultazioni l’ambasciatore a New Delhi Giacomo Sanfelice, e poi oggi convocando il capo missione indiano, Debabrata Saha.

Sanfelice partirà per la capitale domani dopo la fine del viaggio in India del sottosegretario agli Esteri Staffan de Mistura, il quale oggi ha nuovamente incontrato Massimiliano Latorre e Salvatore Girone nel carcere di Pujapoora, spiegando loro che “l’Italia non se ne è stata con le mani in mano in questa vicenda, e non lo sarà mai”. Saha invece è stato ricevuto al ministero degli Esteri italiano dove il Direttore Generale per l’Asia Giandomenico Magliano gli ha trasmesso con fermezza, su istruzione del ministro Giulio Terzi, “l’inaccettabilità degli sviluppi giudiziari relativi ai marò italiani, con particolare riferimento ai capi d’imputazione”. Durante il colloquio “é stato nuovamente ribadito che si tratta di organi dello Stato italiano impegnati in operazioni antipirateria i quali godono quindi di immunità, e che la normativa internazionale attribuisce chiaramente all’Italia la competenza giurisdizionale in quanto la nave italiana Enrica Lexie si trovava in acque internazionali”. Un’opinione che non coincide però con quella sostenuta dall’India, e soprattutto dalle autorità del Kerala, secondo cui l’offesa contro una unità battente bandiera indiana e la presenza di due vittime indiane, fosse anche in acque internazionali, “dà diritto ad un processo in base alle leggi indiane”. In mattinata, il portavoce del ministero degli Esteri indiano, Syed Akbaruddin, aveva cercato di contenere il livello dello scontro dichiarando che “non è una prassi inusuale richiamare gli ambasciatori per consultazioni”. Ma certamente, notano fonti diplomatiche italiane, “questa strategia di non voler affrontare la sostanza della questione dovrà ora essere abbandonata”. In tutte le sedi ed in tutti gli incontri avuti nei quattro giorni della sua terza visita in India da febbraio, De Mistura ha manifestato “l’insoddisfazione” e anche “l’irritazione” per una strategia del rinvio diventata palese con la decisione da parte delle autorità di polizia e carcerarie del Kerala di rinviare di 20 giorni il trasferimento dei marò in un luogo diverso dalla prigione centrale di Trivandrum. Nei più recenti colloqui, compreso quello di oggi con i membri della delegazione italiana, Latorre e Girone hanno confermato di considerare, a prescindere dall’iter giudiziario della vicenda, “davvero fondamentale per ragioni materiali e psicologiche” il loro trasferimento nella Borstal School di Kochi. Intanto oggi un tribunale di primo grado (Session Court) a Kollam ha bocciato la richiesta di libertà dietro cauzione presentata dai loro legali. Il giudice P.D. Rajan ha arguito che “esiste un rischio in caso di rilascio degli imputati di un possibile loro abbandono dell’India e quindi di non reperibilità al momento del processo”. I legali dei marò hanno spiegato che “questo rifiuto era previsto perché il giudice coinvolto non era in grado di ricevere e ratificare le garanzie che poteva offrire il governo italiano”. Per questo, si è infine appreso, all’inizio della prossima settimana partirà una nuova richiesta di libertà provvisoria, questa volta all’Alta Corte di Kochi, che nel frattempo ha concluso il suo periodo di vacanze.

 

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