Il vicepresidente siriano Faruk al-Sharaa “é in Giordania da giorni”: lo annuncia una breaking news di al Arabiya, che cita fonti anonime senza aggiungere altri dettagli. Nei giorni scorsi il giallo sulla sua sorte: si era parlato di una fuga fermata con un arresto, ma Damasco aveva smentito

e affermato che il numero due di Assad era al lavoro, come sempre. Il giallo sulla defezione di Faruk al-Sharaa, sunnita originario di Daraa, la città 100 km a sud di Damasco da cui è partita la scintilla della rivolta anti-regime, un anno e mezzo fa, è iniziato il 18 agosto scorso. La notizia, anche in quell’occasione, fu rilanciata da al Arabiya, che pochi giorni prima aveva mandato in onda l’appello a disertare di un suo familiare, un responsabile dell’intelligence di Damasco fuggito dal Paese settimane prima. Il giorno stesso, con l’Esercito siriano libero (Esl) e il Consiglio nazionale siriano (Cns) pronti a confermare la diserzione, i media ufficiali di Damasco hanno smentito la circostanza, leggendo uno scarno comunicato dell’ufficio di Sharaa: “Il vicepresidente è al suo posto e non ha mai pensato di lasciare il Paese”. I ribelli avevano poi affermato che il tentativo di fuga di Sharaa era fallito, e che il vicepresidente era finito “agli arresti domiciliari”. Forse perché catturato dalle forze fedeli al governo, forse perché aveva deciso di consegnarsi dopo minacce di morte ai suoi familiari. Sharaa, ex ministro degli Esteri e ambasciatore a Roma, è uno degli esponenti di spicco del regime di Bashar al Assad, soprattutto per i suoi antichi legami con Hafez, il padre dell’attuale presidente, ma non ha un particolare potere, alla stregua dei suoi colleghi di governo. Il giallo sulla sua sorte fa il paio con quello che avvolge Maher, il fratello di Bashar a capo della temuta 4/a Divisione, le truppe corazzate scelte composte all’80% da alawiti, il gruppo religioso cui appartengono gli Assad e l’elite del potere siriano. Secondo numerose fonti Maher sarebbe stato gravemente ferito il 18 luglio, nell’attentato a Damasco in cui hanno perso la vita il ministro della Difesa, Daud Rajha, ed il cognato di Assad, Assef Shawkat. Russia Today, che in Siria è considerata una emittente filo-regime e che la commissione Onu sui crimini contro l’umanità in Siria ha criticato per i suoi reportage che hanno “distorto la realtà” per alcune stragi sanguinose come quella di Hula – che secondo gli investigatori è da imputare ai militari e alle milizie pro-governo – ha annunciato la scorsa settimana che il fratello del presidente “é morto”, e che il suo cadavere è stato riportato a Damasco da Mosca, dove era stata ricoverato in ospedale. Quel che è certo è che sia Sharaa che Maher non compaiono in pubblico da molto tempo, né si offrono alle telecamere delle pur numerose emittenti statali siriane.

 

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