Barack Obama si conferma un valido ‘Commander in Chief’. A quindici giorni dall’election day, dimostra di avere piena padronanza di tutti i più importanti dossier di politica estera. Vivace, reattivo, spesso aggressivo, vince il terzo e ultimo dibattito tv dedicato appunto alla politica internazionale. Non sferra mai colpi da ko, ma in una lotta così serrata anche un vantaggio di pochi punti percentuali tra gli indecisi, come nota a caldo Nate Silver del New York Times, potrebbe fare la differenza. Romney dal canto suo cerca più volte di spostare il discorso su un terreno a lui più congeniale, quello dell’economia, della crisi e del lavoro che non c’é. Sin dall’inizio, Obama costringe Mitt Romney a stare sulla difensiva.
“IL problema è che su tante questioni – attacca il presidente – dal Medio Oriente, all’Afghanistan, all’Iraq, lei é sempre fuori gioco’’. Il candidato repubblicano capisce subito che deve limitare i danni, puntando a un pareggio indolore. Più volte parla di ‘pace’. Già in apertura si congratula con Obama per l’uccisione di Bin Laden, in modo da spuntare il cavallo di battaglia obamiano, l’exploit più evidente della sua presidenza. Evita con cura il corpo a corpo. Da un lato ricorda genericamente che con Obama l’America è meno influente nel mondo, critica il presidente per aver maltrattato Israele, il tradizionale primo alleato d’America. Ma dall’altro, quando si entra nello specifico, praticamente si dice d’accordo con moltissime scelte del Presidente. A sorpresa non attacca sulla Libia, forse memore del passo falso della settimana scorsa. Su Siria, Iran, Egitto, Russia e soprattutto Afganistan, anche a costo di qualche giravolta rispetto al passato, mostra di avere le stesse soluzioni proposte dall’inquilino della Casa Bianca. Assicura che se eletto confermerà il ritiro da Kabul entro il 2014, benedice l’uso dei droni, corregge il Tiro su Mosca definita pochi mesi fa ‘il nemico numero uno’, derubricando l’ex Urss come un ‘antagonista geo-politico’ per l’America. E poi ammette che le sanzioni a Teheran stanno funzionando e che l’attacco militare è “l’ultimo passo”. Prende perfino le distanze da George W. Bush. Insomma, mostra un’identità di vedute con il suo competitor pressoché totale che provoca qualche sfottò su Twitter, dove qualcuno cinguetta: “Breaking News, Romney appoggia Obama”. Ma poco importa. Il vero obbiettivo e’ un altro. Cosi’, appena puo’, Mitt cerca di uscire dall’angolo parlando di economia interna, della crisi e del lavoro, del tallone d’Achille di Obama. Una fuga strategica che pero’ gli riesce solo in parte. Il moderatore, l’anziano Bob Schieffer suda sette camicie per cercare di riportare il discorso sul mondo. Ma e’ Obama con i suoi attacchi continui e puntuali a metterlo spesso in difficoltà. Così lo staff presidanziale può tirare un sospiro di sollievo dopo la doccia fredda del primo dibattito di Denver. “Obama ha dimstrato in modo forte e deciso di essere il Commander in Chief”, commenta soddisfatto il suo braccio destro, David Axelrod. Felice anche John Kerry, il suo allenatore ai duelli tv, che prende in giro Romney citando la gaffe sulle donne della settimana scorsa: “Mitt sembra non avere ‘fascicoli’ sulla politica estera”. Unica nota stonata, ma ampiamente prevista, da parte di ambedue i candidati alla Casa Bianca e dello stesso moderatore: nessuna domanda, nessun cenno seppur minimo all’Europa e alla crisi dell’Eurozona. Ma nemmeno all’America Latina. Un dettaglio che non e’ sfuggito all’ironia amara e sferzante di Michael Moore, il regista premio Oscar, coscienza critica della sinistra americana: ‘’Hey – ha twittato alla fine della serata – nessuna menzione di Europa, di America Latina, di Antartide al dibattito sulla ‘politica estera’. E’ vero che se non possiamo bombardarti, non parleremo mai di te”.