NAPOLI – Fuori i rintocchi delle campane, all’interno tanti ragazzi che si stringono in cerchio per dieci lunghi minuti intorno a una bara bianca. E’ l’ultimo saluto a Carmine Mantice, il 18enne ucciso a Napoli da sicari che gli hanno sparato al torace nella notte tra sabato e domenica, mentre chiacchierava con altri ragazzi a pochi metri da casa.

Un gesto spontaneo che arriva al termine della celebrazione officiata nella chiesa di Santa Rita, nel quartiere di San Carlo all’Arena. Un abbraccio ideale per Elmine, come lo chiamavano i suoi amici, nell’ultimo inutile tentativo di tenerlo accanto a loro. L’arrivo del feretro e’ seguito da un fiume di persone, troppe per una piccola chiesa di quartiere, quella di Santa Rita a piazza Ottocalli. Molto si fermano in piedi tra le file dei banchi, altri in fondo alle navate o fuori, davanti a uno striscione con la scritta ‘Elmine sempre con noi’. Il rito funebre si compie in un dignitoso e assordante silenzio. Un contegno rotto solo dall’urlo di dolore della mamma di Carmine, che precede l’inizio della celebrazione.

Il sacerdote legge il passo del Vangelo che racconta la crocifissione di Gesu’ sul Golgota e l’affidamento di Maria a Giovanni. “Come il Signore prima di spirare affida sua madre al discepolo che amava – dice – cosi’ Carmine affida la sua a tutti noi”. Alcuni dei presenti raggiungono l’uscita durante l’omelia scuotendo il capo, visibilmente contrariati. C’e’ chi invece si asciuga le lacrime e abbraccia il vicino di banco. “Non ci sono parole in questi momenti – riconosce lo stesso sacerdote – se non quella del Signore, l’unica della quale dobbiamo fidarci”. Quindi la benedizione finale, la mamma che scoppia in lacrime e viene sorretta per le braccia fino all’uscita della chiesa e quell’abbraccio ideale che dice piu’ ogni parola. Quando la bara riemerge sopra le teste dei ragazzi, si vede una maglia del Napoli con il nome Elmine e tanti garofani bianchi. Il corteo funebre scorre tra le vie del quartiere, dove il 18enne e’ stato ucciso. Il dolore si mescola alla rabbia di chi chiede giustizia. Urla che possono essere raccolte solo dalla gente del luogo, perche’ le principali autorita’ civili non partecipano alla cerimonia.

 

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