I drammi sociali nelle grandi città non mancano e uno di questi viene vissuto quotidianamente da una famiglia di Napoli: sei persone in una stanza di pochi metri quadrati nei Quartieri spagnoli a Napoli, dove la distanza sociale non è garantita neanche se si esce fuori nel vicolo su cui affaccia il basso di Anna. Lei, 29 anni, divide lo spazio con due figli piccoli, il fratello, il padre costretto a letto da un ictus e la madre che, prima del Coronavirus, aiutava la famiglia facendo la parcheggiatrice abusiva. È la storia di una delle centinaia di persone aiutate dalla rete solidale creata dai centri sociali di Napoli, tra cui ‘Lo sgarrupato’ che opera nel quartiere Montesanto. “La situazione era già molto critica prima – racconta Anna seduta al tavolo che occupa tutto il centro della stanza – Ma con l’emergenza si è fermato tutto. Mi sono vista persa, finché non mi hanno aiutato i ragazzi dello ‘Sgarrupato’ che mi portano da mangiare e mi danno una mano a livello psicologico”. Sua madre confessa: “Non abbiamo nessun reddito e prima che arrivassero i ragazzi, ho chiesto anche l’elemosina per poter mangiare”. In difficoltà anche i figli di Anna, una bambina di 6 anni e un maschietto di 10 che prima del blocco andavano a scuola. “Sono dispiaciuta per loro che sono costretti a stare a casa, li conforto come posso e loro ricambiano con baci e abbracci. Servono più a me che a loro. Avevano anche cominciato a fare lezioni con il telefonino, l’unico che abbiamo, ma io non ho il wifi, il segnale si prende solo se stai fuori. Servirebbe uno portatile o un tablet ma gli ho spiegato che ora abbiamo altre priorità. Sono grandi, hanno capito”. In casa, e fuori, nessuno porta la mascherina. “È difficile in certe situazioni rispettare certe regole – spiega Anna – e a parte lavarci le mani, non abbiamo altre difese. Ma ringraziando Dio stiamo bene e appena finisce questa ‘cosa’, perché questa cosa deve finire, spero di trovare un lavoro. Una casa? Per ora mi va bene questa”.