Napoli-  Un libro che è “un po’ viaggio un po’ racconto”. Per chi ancora non lo  ha acquistato “ entri in una libreria ed inizi a farsi raccontare quel viaggio  scandito nelle pagine del libro  pubblicato da Arkadia. Stiamo parlando del libro “Il sogno di Safiyya” di cui è autore il giornalista Nuccio Franco. Ne abbiamo parlato con l’autore che ha presentato il libro anche nel Matese.

Come nasce il libro?

“Questo libro parte da una città a me tanto cara, Sarajevo. Caleidoscopio di luci, culture, razze e religioni coesistenti l’una accanto all’altra. La Gerusalemme dell’Est era chiamata. Mi sembrava un Eden per me che la conoscevo già da tempo, proprio per questa sua caratteristica di tolleranza, di apertura a modi ed istanze diverse ma tutte con pari dignità. Fino all’orrore, alla negazione umana, al non ritorno. L’assedio di Sarajevo è stato il più lungo assedio nella storia bellica moderna, protrattosi dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996. Avevo parecchi amici e così decisi di andare……Avevo 26 anni, tanto entusiasmo…..Arrivai a Sarajevo pochi giorni prima della strage al mercato di Markale (5.2.1994, 68 morti e 200 feriti).Sangue, corpi mutilati. L’orrore. E poi Mostar, Srebrenica, Vukovar. Guerra e ancora guerra, azzeramento del senso di umanità. E poi Plakalovic, il famoso tassista che aiutò a mettersi in salvo parecchie persone, e Vedran Smailovic, ribattezzato il violoncellista di Sarajevo.Dopo parecchie crisi di coscienza, restai un anno per tutti coloro i quali avevano bisogno di un piccolo aiuto, di un gesto gentile, di una carezza. Tornai a casa dopo la firma del cessate il fuoco nel novembre 1994.

Eri   un cronista in erba alle prese con le contraddizioni della storia comune, ordinaria .Come è scattato il salto verso la Storia ?

“Sì vivevo   da studente nella tranquilla realtà emiliana e decisi di partire, da reporter ancora praticante, per andare a toccare con mano ciò che davvero succede in una città sotto assedio come Sarajevo, le emozioni furono tante.

Un viaggio nei “gironi” della Storia…

“ Certo. Scrutai occhi spenti, gente che correva per salvarsi dal fuoco di un vile, un cecchino appostato chissà dove, invisibile. Boati,vetri che si infrangevano, urla disperate sono stati la colonna sonora della tua giornata. Realizzi davvero cosa sia l’umana viltà e miseria e le fissi in un fotogramma. Hai paura, una paura tremenda. Ma, nonostante tutto, ti accorgi di quanto la gente sia attaccata alla vita, al di là di dispute religiose e per questi decidi di rimanere. Incontri persone dall’umanità incredibile, nonostante tutto, e ti viene la voglia di raccontare e raccontarti.

 

Come è strutturato il libro?

E’ un  cammino a ritroso  “Il sogno di Safiyya”, un po’ racconto ed un po’ viaggio che si estende nei vari paesi del Maghreb, con un taglio più giornalistico che da scrittore dove utopia, viaggio e libertà si intrecciano fra loro in una sottile alchimia.

Il filo conduttore – racconta l’autore- si sostanzia nel tentativo di trasmettere un messaggio forte, soprattutto alle nuove generazioni, ossia il senso di tolleranza, il dialogo, il credere che nessuno è inferiore a nessuno. Tutte cose, queste, che mi ha insegnato il mio mestiere,spesso in giro per il mondo,come a Nevè Shalom: il confronto con l’altro, sovente definito diverso.

Parafrasando il titolo di un film, viene da chiedersi ma “diverso da chi?”, da quale stereotipo, in base a quali canoni??

 

E poi c’è il sogno, quello dei personaggi di contribuire ad un mondo meno ignavo ed indifferente alle umane miserie, in un dialogo rispettoso dell’altrui essere al mondo, nella forza di credere nell’amore, al di là di schemi preconcetti, di sovrastrutture come la religione o i rapporti sociali.

Ecco, sotto questo aspetto è anche una provocazione perché, ad oggi, pensare che a Berlino come a Gerusalemme o ad Hebron, due ragazzi possano tenersi per mano uniti esclusivamente dalla forza del loro sentimento scevro da convenzioni, giudicati da chi assurge a dogmi  mere convenzioni sino ad elevarle ad un deus ex machina che guida le nostre azioni, è quasi una chimera. In sostanza, il mio personale tentativo è stato quello di mettere in prosa esperienze, accadimenti della mia vita fino ad oggi lasciati in un angolo della mente, di trasmettere un messaggio concreto frutto del mio vissuto che tanto mi ha dato e insegnato come la permanenza a Sarajevo e la sua aberrazione, la perdita di un amico, dell’Amico, l’aver conosciuto Safiyya e la sua famiglia, Norah e Youssuf, che mi hanno insegnato il rispetto per la diversità, per la vita. Con discrezione, mai invadenti.

Chi è Safiyya in fondo ?

“Safiyya  rappresenta il mio alter ego, è riuscita a guidarmi con occhi di donna in questo viaggio, aiutandomi a decodificare fatti e situazioni che stentavo a comprendere, convincendomi che la strada intrapresa insieme era quella giusta e che la nostra amicizia aveva qualcosa in più, fatta di rispetto e comprensione reciproca. E così è stato, nonostante le tante traversie” conclude Franco. Buona lettura.

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