NAPOLI – Per la prima volta su un palcoscenico teatrale si rievocherà, martedì 20 marzo 2012 alle ore 20.30 (repliche fino a domenica 25), alla Sala Assoli di Napoli, uno dei più clamorosi scandali giudiziari della storia italiana del Novecento, Il caso Braibanti, su testo di Massimiliano Palmese e presentato da Fondazione Salerno Contemporanea Teatro Stabile di Innovazione in collaborazione con napoligaypress.it.
Il “tessuto drammaturgico” de Il caso Brabanti è tutto costruito su documenti d’archivio, lettere e arringhe in cui l’autore ha ripercorso il processo cui fu sottoposto nel 1968 Aldo Braibanti, accusato di “plagio” ai danni del suo giovane amante Giovanni Sanfratello. In scena, Fabio Bussotti e Mauro Conte, nei panni dei due protagonisti, danno voce anche a tutti gli altri personaggi della vicenda, mentre le musiche sono di Mauro Verrone, eseguite dal vivo da Stefano Russo, per la regia di Giuseppe Marini. Nell’ottobre del 1964 Aldo Braibanti, ex-partigiano torturato dai nazifascisti, comunista e omosessuale, artista, poeta, appassionato di filosofia e studioso della vita delle formiche, fu denunciato “per aver assoggettato fisicamente e psichicamente” il ventunenne Giovanni Sanfratello. In realtà il ragazzo, in fuga da una famiglia ultraconservatrice e bigotta, si era deciso a seguire le sue inclinazioni e, raggiunta la maggiore età, era andato a vivere a Roma con Braibanti. Non riuscendo a separare la coppia, il padre di Giovanni denunciò l’artista-filosofo con l’accusa di “plagio” (reato risalente al Codice Rocco del periodo fascista), e intanto sottopose il ragazzo a rigide cure psichiatriche per “guarirlo” dalla sua omosessualità. Il processo a Braibanti si aprì il 12 giugno 1968, mentre infiammava la Contestazione e i giovani di tutto il mondo chiedevano a gran voce più ampie libertà. Davanti alla Corte sfilarono familiari, preti, medici, testimoni corrotti, e Aldo Braibanti finì col divenire capro espiatorio di un duro scontro generazionale. Molti intellettuali denunciarono lo scandalo di un processo montato dalla destra più reazionaria del Paese in combutta con esponenti del clero e della “psichiatria di regime”. In favore di Braibanti intervennero, sulle colonne dei giornali, Umberto Eco, Dacia Maraini, Elsa Morante, Alberto Moravia, Cesare Musatti, Marco Pannella, Pier Paolo Pasolini. Tutti i loro appelli caddero nel vuoto. Poco o niente c’è nel testo teatrale di Palmese che non provenga direttamente dagli atti del processo, o da articoli di giornale con interviste ai protagonisti o commenti che intellettuali e artisti hanno riservato alla discussa sentenza. Le lettere di Braibanti alla madre sono originali, e la poesia finale è dell’autore. Il testo trova il giusto tono nell’equilibrio tra satira di costume e dramma psicologico, per tenere insieme le parole degli avvocati, così violente, alle loro tesi, così ridicole. A tratti divertenti sono gli interrogatori e le arringhe, mentre sono agghiaccianti le dichiarazioni omofobiche dei cosiddetti “periti”. Per non parlare delle cartelle cliniche firmate dagli “specialisti in malattie nervose” delle cliniche dove fu rinchiuso il giovane Giovanni Sanfratello. Se ancora oggi nel nostro Paese, a distanza di oltre quattro decenni, le stesse cricche politiche, reazionarie e ipocritamente bigotte, si oppongono a una seria legge contro l’omofobia o alle unioni civili per i gay, vuol dire che Il caso Braibanti non è una pagina del passato ma storia presente, che può e deve, ancora, farci indignare.