di Pasquale Iorio*
Nella data dell’ 11 ottobre 2013 ricade il 30° anniversario dell’uccisione di Francesco Imposimato: un operaio vittima della barbarie omicida della camorra e del terrorismo, per il suo impegno politico, sociale ed ecologista. E’ stato una delle tante vittime innocenti del clima di violenza che in quegli anni ha insanguinato il nostro paese e la nostra provincia, con un pesante attacco alle condizioni di vita sindacale, democratica e civile. Oggi è importante ricordare queste figure per non dimenticare i pericoli che abbiamo corso.
Da questo punto di vista è apprezzabile l’iniziativa promossa dall’Amministrazione e dal Presidio Libera di Maddaloni per ricordare Franco con una manifestazione pubblica. Nello stesso tempo vanno ricordati i tratti salienti e la ricchezza della sua personalità: in primo luogo il suo impegno di uomo politico, di un militante comunista rigoroso. Era un cittadino attivo (un vero “homo civicus” per dirla con Franco Cassano) in difesa dei fondamentali diritti sociali ed ambientali, in fabbrica e nel territorio per salvare i Tifatini dallo scempio delle cave, per tutelare un bene comune come il paesaggio (così come prevede l’Art. 9 della Costituzione). La sua esecuzione fu molto spettacolare, per il modo con cui venne trucidato (mentre la moglie Maria Luisa Rossi restò ferita), davanti ai cancelli della sua fabbrica – la Face Standard di Maddaloni. Come è stato ricordato in una nota della Fondazione Polis, che sta svolgendo un ottimo lavoro di documentazione e di memoria storica sulle vittime delle mafie, Imposimato era un iscritto al PCI, molto attivo nella vita politica e sindacale. Ricordo i suoi interventi appassionati, di vero militante FIOM CGIL, nelle assemblee di fabbrica e nelle manifestazioni. Nello stesso tempo svolgeva una intensa attività culturale, con un particolare interesse alla salvaguardia dell’ambiente e dei centri storici. Memorabili restano le sue battaglie contro lo sfascio delle cave sui Monti Tifatini, che purtroppo nel tempo è continuato con danni irreparabili).
Per i suoi assassini aveva una grave colpa: era il fratello del giudice Ferdinando, in servizio presso il tribunale di Roma. Per questo la “cupola” mafiosa decise la sua morte, che era già scritta da tempo: nel marzo del 1983 gli rubano la Ritmo (poi utilizzata nell’agguato) e veniva pedinato. Il fratello giudice, Ferdinando Imposimato, comprese l’esistenza di un reale pericolo: si rivolse ai carabinieri perché venisse allestito un servizio di scorta e sollecitò il direttore generale della Face Standard a trasferire il fratello. Dalle indagini e dai processi emerge la matrice mafioso-camorrista del crimine: si è voluto colpire il giudice Ferdinando Imposimato con un’azione trasversale. All’origine dell’omicidio del sindacalista c’era un patto di ferro fra banda della Magliana, mafia e camorra. Come è emerso dalle sentenze e condanne, a volere l’omicidio furono Pippo Calò, considerato il cassiere della mafia, ed Ernesto Diotallevi, uomo di punta della banda della Magliana. Visto che Francesco Imposimato viveva in Campania, era coinvolto anche Lorenzo Nuvoletta.
Secondo la ricostruzione dei magistrati, i due decisero di uccidere il giudice Imposimato quando questi arrivò a loro nel corso delle indagini sull’omicidio di Domenico Balducci e su una serie di speculazioni edilizie nella Capitale. I due compresero che un agguato non sarebbe stato possibile, ma non per questo rinunciarono al loro obiettivo. Spostarono soltanto il tiro: il magistrato avrebbe, comunque, capito il messaggio e si sarebbe fermato. Allora si rivolsero ai Nuvoletta che erano interessati ad eliminare proprio Francesco Imposimato. Il sindacalista, infatti, aveva avviato una battaglia per fermare le cave abusive sui monti Tifatini, da dove è estratto il materiale per costruire dei tratti ferroviari i cui appalti erano affidati a ditte che facevano capo al boss di Marano. Appariva chiaro che l’impegno di Imposimato fosse tutt’altro che gradito al potente clan.
La morte di Franco rientra nelle classiche vendette trasversali in quanto risultava impossibile colpire il fratello giudice. E’ ancora viva la commozione che suscitò la notizia del suo assassinio, a cui seguì una forte mobilitazione unitaria del sindacato con una grande manifestazione dai cancelli della fabbrica per le strade di Maddaloni. Tutta la città si strinse commossa intorno al feretro di Francesco, a fianco della moglie e dei figli. Toccò a me fare l’intervento conclusivo (a nome di CGIL-CISL-UIL), insieme ad Antonio Bassolino ed al fratello Ferdinando. Per ricordare la figura di Franco, la CGIL e la FIOM di Caserta – insieme alla rete di associazioni del terzo settore ed alla piazza del sapere – stanno valutando una iniziativa che si terrà a Caserta.
*Già Segretario Provinciale CGIL Caserta