di Mario de Michele

L’inchiesta sul crack della Banca di Credito Cooperativo di Aversa, con 17 rinvii a giudizio, ha coinvolto anche un assessore e un consigliere comunale della città normanna. Sotto processo sono finiti Massimo Pinzi e Paolo Santulli. Il primo è di recente entrato a far parte della nuova giunta targata Sagliocco;

il secondo, già deputato di Forza Italia, è stato eletto in assise nelle file della Federazione degli autonomisti. Insomma, gli sviluppi dell’inchiesta della procura di Santa Maria Capua Vetere hanno “invaso” anche il campo della politica aversana. Un esito che dovrebbe quanto meno far riflettere la classe dirigente locale sui criteri di scelta delle persone che si candidano a ricoprire cariche pubbliche. Sia chiaro: noi siamo e saremo sempre fermamente garantisti, e quindi convinti dell’innocenza degli imputati fino a quando non ci sarà una condanna in via definitiva.

Ma il punto è un altro. E riguarda l’opportunità politica di far scendere in campo persone che hanno un conto aperto con la giustizia. Nel caso di Santulli, esponente politico di primo piano, ex parlamentare e leader della Fda, appare poco comprensibile la decisione di partecipare alla contesa elettorale con la spada di Damocle di un procedimento penale in corso. Anche e soprattutto perché si tratta di un’inchiesta che, come sostiene il gip, riguarda la dissipazione di circa undici milioni di euro, in un arco temporale di due anni, attraverso manovre avventate che “eludevano la normativa vigente anche in materia di antiriciclaggio”.

Premettendo che siamo certi che Santulli sarà in grado di dimostrare la sua estraneità ai fatti (lo conosciamo come persona di specchiata onestà), siamo però altrettanto convinti che sarebbe stato saggio da parte sua restare fermo ai box alle ultime elezioni comunali. È una questione di opportunità ed etica politica, appunto. Se anche sulla moglie di Cesare non ci deve essere alcun sospetto, figuriamo su Cesare stesso. Ancora più ingiustificata e discutibile ci sembra la scelta del sindaco Sagliocco di nominare come assessore Massimo Pizzi. Alla luce del suo rinvio a giudizio è inevitabile osservare come la nuova squadra di governo non parta con il piede giusto. Si dirà: Pizzi è stato indicato dal Pdl, per la precisione dall’area ex An. Vero. Ma la nomina degli assessori è una prerogativa, sancita dalla legge, del primo cittadino.

E nel caso di specie Sagliocco avrebbe avuto un buon, anzi ottimo, motivo per porre il veto all’indicazione di Pizzi. In una fase in cui la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni è pari allo zero, episodi come quello di Aversa non fanno altro che soffiare sul fuoco, già alto, dell’antipolitica. Ma ora come fare per non piangere sul latte versato? Un modo c’è. Ed è anche semplice e veloce: Pizzi e Santulli dovrebbero dimettersi. Se non lo faranno spetterà a Sagliocco revocare l’assessore del Pdl e alla Federazione degli autonomisti chiedere a Santulli di fare un passo indietro.

Dubitiamo che gli attori di questa vicenda si attiveranno per cercare di salvare almeno il salvabile. In tal caso tutti dovranno rendere conto agli elettori di una prima promessa non mantenuta: il mancato rispetto del codice etico al quale si sarebbero dovuti attenere candidati e politici.

Per la serie: partiti e amministratori predicano bene e razzolano male.

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