di Mario De Michele

Inutile nascondersi dietro la foglia di fico. Ha una valenza politica il voto in Lombardia e Lazio, prime due regioni d’Italia. E da sempre termometro del meteo nazionale. Il vento lombardo-laziale, forse al di là delle più rosee aspettative, gonfia le vele del centrodestra. E impone una riflessione profonda agli sconfitti. Per il centrosinistra è una Caporetto. Al netto delle alleanze il distacco tra i due schieramenti è siderale. Volendo guardare il bicchiere mezzo pieno c’è la tenuta del Partito democratico. I dem resistono. È l’unico spiraglio positivo. Certo, è una feritoia. L’orizzonte più ampio è tutto appannaggio del trio Meloni-Salvini-Berlusconi. Il futuro prossimo è il loro. Ma il fatto che non ci sia stato il tanto temuto tracollo del Pd è una buona notizia. Non c’è nulla da festeggiare, sia chiaro. Le risposte piccate di Conte e Calenda a Letta non sono un buon viatico per il domani. Il campo largo resta una prospettiva da perseguire. Altrimenti l’ondata di centrodestra spazzerà via tutti: Pd, Cinque Stelle e Azione-Italia Viva. È l’ora di riporre nel cassetto vecchi risentimenti e corse vane alla conquista di un posto al sole nell’alveo del centrosinistra. Il tema è come scalfire il blocco di governo. Come erodere consensi nel campo avverso. Come rimettere assieme quel popolo, rimasto a casa, che non si rivede nel centrodestra ma che non trova sul mercato della politica un’offerta alternativa credibile. La posta è alta: c’è il rischio di continuare per molti anni a essere minoranza nel Paese. Le sconfitte cocenti vanno indagate con le categorie della ragione. A mente fredda. Rifuggendo dai personalismi. Quel popolo di centrosinistra smarrito e abbandonato non chiede altro che proposte e piattaforme politiche in grado di costruire unitariamente un percorso nuovo. Non c’è tempo per i tatticismi. E non basta dire che l’obiettivo comune è battere le destre. Bisogna tratteggiare un’idea di Paese dai contorni ben definiti. Essere chiari sul lavoro, sui giovani, sulle pensioni, sulle donne, sugli ultimi. Che fare? È la domanda che dovrebbero porsi i leader dei partiti di centrosinistra. Calenda e Renzi devono uscire dal cono d’ombra dell’ambiguità. Conte deve andare oltre il cannibalismo ai danni del Pd. Alla fine, spolpa e spolpa, del centrosinistra non resterà nulla. O poca roba. I dem hanno il compito più gravoso. E più imminente. Il 26 febbraio si vota alle primarie. Sarà un duello tra Stefano Bonaccini e Elly Schlein. Dall’esito della consultazione aperta dipenderà molto non solo del futuro del Pd ma di tutto il centrosinistra. Sia Bonaccini che Schlein sono per il campo largo. Ma oltre il nodo gordiano delle alleanze c’è quello più difficile da sciogliere: quale sarà il Pd di domani? Bonaccini è l’uomo dell’apparato, della conservazione. Schlein è una ventata di aria fresca. Quello che serve ai dem e al centrosinistra. L’usato garantito non ha mercato. Bisogna cambiare l’auto. E farla guidare da chi ha una marcia in più. Bonaccini è l’istinto di sopravvivenza. Schlein è la spinta al rinnovamento. Radicale. Bonaccini darebbe al massimo una ritinteggiatura al Pd. Fine della fiera. Schlein metterebbe mano alle fondamenta. Ed è quello che serve per costruire la nuova casa del centrosinistra.

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