di Mario De Michele

Una premessa. Quando giovani, donne, professionisti, militanti si mettono attorno a un tavolo (in questo caso più di uno) per ragionare un’intera giornata di politica, nel senso nobile del termine, è sempre e comunque un fatto positivo. Ancor di più se il confronto è aperto al mondo delle associazioni e alle forze sociali. Da questo punto di vista la conferenza programmatica del Pd casertano è sicuramente una novità importante nel panorama politico di Terra di Lavoro. Ora qualche considerazione. Se un’iniziativa che avrebbe potuto segnare una svolta, non solo nel partito, non coinvolge tutti allora inevitabilmente diventa un’occasione persa. E una classe dirigente seria dovrebbe interrogarsi su questo, dovrebbe indagare i motivi di una spaccatura che, volente o nolente, fa apparire il Pd all’esterno come un partito tutto fumo e niente arrosto. Una giornata di discussione si è trasformata in un altro campo di battaglia. Già durante la conferenza programmatica è scoppiata la guerra dei numeri. Per Vitale e company è stata un successo straordinario, un grande momento di partecipazione. Per i dissidenti si è rivelata un flop, c’erano pochi intimi. Ecco. Da qui non si esce. Anche perché, mutuando Jean Renoir, la tragedia della vita (politica) è che tutti hanno le loro ragioni. E’ proprio il caso dei dem casertani. Come dare torto ai ribelli quando sostengono che l’iniziativa voluta dalla maggioranza(?) assume i contorni di una provocazione? Rinviare di qualche giorno, in attesa di tempi migliori, non sarebbe stata la fine del mondo. E come contestare alla minoranza(?) che la battaglia sull’Asi è sbagliata? Grida ancora vendetta la mancata applicazione del deliberato dell’assemblea che all’unanimità ha sancito la cacciata dei componenti del Cda indicati dal partito. E come si può cantare vittoria quando alla conferenza programmatica non partecipano la quasi totalità dei massimi rappresentanti istituzionali e gran parte del gruppo dirigente?

Ma tutti hanno le loro ragioni. E stavolta Vitale è stato telecomandato nella direzione giusta. Al netto della guerra dei numeri, in sala mancava metà partito. Così non si va da nessuna parte. Il segretario facente finzione ha chiesto una tregua fino alle elezioni. Una proposta tattica, certo, ma giusta. Anche un bambino capirebbe che la vera partita, che ha fatto saltare gli equilibri interni, è quella delle regionali. E quindi sarebbe logico attendere il responso delle urne prima di una resa dei conti definitiva, se proprio non si riesce a ritrovare la via dell’unità. Nicola Caputo l’ha capito. Ha partecipato alla conferenza programmatica. Ha fatto bene. In questi casi un esponente istituzionale non può dare forfait. L’eurodeputato ha anche compreso che in una fase così delicata (primarie Pd e elezioni regionali in vista) bisogna superare i personalismi. E smetterla di pensare con la pancia. Su input del gruppo Graziano, Caputo sta valutando l’ipotesi del “compromesso storico” con il suo acerrimo nemico di sempre. Per l’europarlamentare ci sarebbe un tornaconto politico. Negarlo sarebbe ipocrita. D’un colpo prenderebbe in mano le redini del partito, condividendo con Graziano e Stellato la gestione del Pd con un’ampia maggioranza composta anche dal gruppo Marino. Non sarebbe la panacea di tutti i mali, certo. Resta il fallimento della gestione Vitale. E la “macchia” dell’accordo sull’Asi. Ma qual è l’alternativa? Cosa propongono i dissidenti? La netta sensazione è che ognuno vada per conto suo. In qualche caso in direzioni opposte. Nell’eterogenea pattuglia dei ribelli c’è chi, come Rosaria Capacchione, conduce una battaglia coerente e senza scopi personali. Come sempre. E chi, come Enzo Cappello, pensa solo a tirare l’acqua al proprio mulino. Come sempre. Torniamo alla premessa per giungere a una conclusione. La conferenza programmatica rappresenta un fatto positivo, ma per colpa di tutti, a vario titolo, è diventata un’altra occasione persa. Per il Pd.

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