di Vincenzo Viglione
Forse suonerà ripetitivo, ma quando si dice che gli abitanti della cosiddetta Terra dei Fuochi sono vittime di condizioni di vita (qualche Ministro li definì “ingenuamente” stili – ndr) che peggiorano giorno dopo giorno, allora non saranno mai abbastanza le volte in cui varrà la pena sottolinearlo e ribadirlo. A sei mesi dalla conversione in legge del famigerato DL 136/2013 sulle emergenze ambientali, volgarmente ribattezzato anche Decreto Terra dei Fuochi, lo strumento che secondo questo Esecutivo, avrebbe portato una vera e propria rivoluzione in questo senso, di risultati apprezzabili, neanche l’ombra. L’introduzione in pompa magna del reato di incendio di rifiuti e lo spauraccchio delle centinaia di militari che i Prefetti avrebbero potuto impiegare nel contrasto al fenomeno degli sversamenti abusivi di rifiuti e conseguenti roghi tossici, infatti, venduti in pompa magna dalle autorità politiche in continua passerella come la panacea di tutti i mali di questo territorio si sono rivelati provvedimenti che, al netto dell’arresto di qualche disgraziato beccato a incendiare rifiuti, hanno dimostrato e dimostrano in queste ore tutta la loro inconsistenza. Inutile l’invito che più volte associazioni e comitati che da anni seguono il fenomeno degli sversamenti e dei roghi hanno rivolto alle istituzioni sia centrali che locali (con buona pace anche del famoso Patto per la Terra dei Fuochi) a ragionare sul tema della prevenzione, delle azioni da predisporre per contrastare il fenomeno sversamenti alla fonte invece che impegnare inutilmente risorse umane ed economiche nella caccia all’accendino selvaggio. Il Governo ha preferito affidarsi in maniera miope ai numerini asettici che parlavano di roghi in diminuzione, senza preoccuparsi del fatto che nel frattempo la pratica dei roghi si era via via trasformata da fenomeno localizzato a fenomeno diffuso, con incendi di dimensioni ridotte appiccati prevalentemente di notte e comunque in numero tale da impedire all’organico già striminzito dei pompieri di intervenire in più punti contemporaneamente.
Ecco quindi che per un intervento effettuato e registrato, almeno un altro è sfuggito al lavoro dei pompieri e della statistica. Si potrebbe ribattere che non è così, che la situazione è migliorata. In quel caso però si dovrebbe spiegare il perché dell’odore acre e penetrante che ogni notte morde la gola ai tanti cittadini costretti a chiudere porte e finestre per sfuggire a questa tortura. Si dovrebbe spiegare perché certi siti nonostante le centinaia di denunce sono puntualmente invasi da rifiuti di ogni sorta per i quali, prima degli interventi di bonifica andrebbero studiate le falle del sistema di smaltimento. Si potrebbe analizzare ad esempio il poco noto traffico di pneumatici non omologati inseriti illegalmente sul mercato e quindi fuori dai quantitativi che i produttori ogni anno devono dichiarare per legge, il cui smaltimento è collegato alla voce presente in fattura all’atto dell’acquisto di pneumatici nuovi. Si potrebbe. Così come si potrebbe realizzare una seria battaglia contro quel sommerso che ogni giorno immette sul mercato prodotti tessili e di pelletteria i cui scarti di lavorazione viaggiano poi su circuiti di smaltimento illegale. Così come si potrebbero analizzare i circuiti di smaltimento delle micidiali lastre di cemento-amianto ritirate a prezzi concorrenziali da sedicenti aziende specializzate con tanto di documenti per lo smaltimento che abbandonano il materiale al primo angolo nascosto di campagna.
Si potrebbero portare a casa risultati importanti se solo da un lato, il mondo della politica cominciasse a mettere da parte annunci buoni solo per le campagne elettorali a beneficio di impegni seri e sorattutto concertati col mondo dell’industria e del commercio che non possono ritenersi totalmente vittime di questo fenomeno poiché da parte loro sanno benissimo dove intercettare il marcio e come eventualmente debellarlo. Di contro, l’universo delle associazioni, dei comitati, e dei protagonisti che la lotta in difesa dell’ambiente ha visto alternarsi in oltre venti anni di emergenze ambientali, forse farebbe meglio ad abbandonare ridicoli alterchi condotti inseguendo le pagine di giornali e/o social network per recuperare un po’ di buon senso e fare fronte comune una volta e per tutte su un interesse che, meglio ricordarcelo tutti, è collettivo.