di Vincenzo Viglione

In due giorni di scavi, tra tonnellate di terreno estratto, agenzie che hanno fatto a gara a chi la sparava più grossa e fantomatici fusti rivenuti nel corso delle operazioni, l’unica certezza, oltre alle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia (l’ennesimo – ndr) che rivelano, qualora ce ne fosse bisogno, la presenza di rifiuti tossici nel sottosuolo di Casal di Principe, è la confusione che ruota attorno alle operazioni che ancora in queste ore interessano un fondo incolto a pochi passi dal centro abitato casalese.

Neanche il tempo di concludere la prima giornata di scavi, infatti, che già fioccavano titoloni a sei colonne sul rinvenimento di una ventina di fusti diventati, nel giro di una notte, addirittura centinaia. Il tutto accompagnato da svariate foto che non ritraevano più di una ruspa, qualche cumulo di terra e strani omini in tuta bianca e curiose maschere che di tanto in tanto mettevano del terreno e altri oggetti all’interno di buste che poi riponevano nel cofano di una macchina bianca con una la sigla ARPAC sulle porte.

Il giorno successivo, alla ripresa dei lavori, di questi fusti, a meno che non ci si riferisse a qualche aitante giovanotto dei carabinieri o dei vigili del fuoco impegnati nelle operazioni, neanche l’ombra. Tanto che qualcuno ha teorizzato che in realtà non si trattava di veri e propri fusti, ma di frammenti metallici compatibili con la forma dei contenitori usati per stoccare fanghi industriali che avrebbero corroso gli stessi contenitori riducendoli addirittura in brandelli. Come avranno fatto a capire che si trattava dei frammenti di circa venti fusti, soprattutto senza tirare su neanche un bidone, almeno uno, che nonostante gli effetti corrosivi di ipotetiche sostanze tossiche e umidità, si sarebbe conservato, se non altro grazie allo scarso livello di ossigeno di quelle profondità, è tutto da spiegare.

Accanto a quelle sui fusti, sono arrivate poi le teorie sulla contaminazione del suolo, spuntate al momento del ritrovamento di terreno di diversa colorazione, nera in alcuni punti, che secondo i predatori dell’amuleto tossico sarebbe la prova provata della presenza di sostanze tossiche e addirittura radioattive, dimenticandosi, forse erano assenti alle lezioni di geologia e di chimica, che la colorazione del terreno cambia naturalmente nel passare da una profondità all’altra e che la presenza di striature nere il più delle volte è indice di resti vegetali carbonizzati. Per non parlare della radioattività che superati certi livelli avrebbe fatto allontanare non solo quanti stazionavano attorno all’area degli scavi, ma gli stessi omini che ne avrebbero confutato la pericolosità attraverso le loro diaboliche strumentazioni.

Dulcis in fundo, i fanghi tossici. Ora, tenendo presente che quando si arriva alle profondità di falda, e i contadini che coi loro pozzi artesiani ci irrigano i campi sono testimoni, un escavatore che affonda la benna a quel livello dovrebbe destare stupore nel pubblico nel momento in cui tira fuori la leggendaria pietra “dokrostone”, non certo per la regolare consistenza fangosa del terreno. C’è acqua! Quanto al colore grigiastro che ha destato tanto sospetto, mi pare ovvio, a quelle profondità sabbioso o argilloso che sia, il terreno produce quel tipo fango, c’era da meravigliarsi se fosse uscita fuori la melma rosa degli acchiappafantasmi.

In poche parole, conosciamo fin troppo bene l’entità e la portata devastante dei veleni sepolti nei terreni compresi in quel maledetto triangolo della morte che oggi è diventato un poligono dall’imprecisato numero di lati, e non sarà certo qualche analisi positiva dell’Arpac a convincerci ulteriormente che è tutto vero.

Inchieste come Adelphi e Cassiopea, piuttosto che le rivelazioni dei collaboratori di giustizia di cui oggi si chiede la desecretazione, sono solo alcuni degli elementi su cui associazioni, comitati e liberi cittadini si battono da decenni per vedere riconosciuta la tutela della loro salute e del loro territorio.

Oggi, il rischio che si cela dietro la rincorsa al feticcio da sbattere in prima pagina è quello di fare il gioco delle imprese criminali che si stanno acquattando dietro il business delle bonifiche, nell’attesa che si scateni una corsa allo scavo nella quale ad annientare la concorrenza, onesta, potrebbero tornare in gioco nomi non pronunciati, parole non dette e tutti i codici che oggi potrebbero celarsi tra le righe della spettacolarizzazione del camorrista “pentito”.

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