Il programma in otto punti e’ pronto e Pier Luigi Bersani e’ determinato a giocare la carta di un governo di scopo o di minoranza. Il segretario del Pd lo ha ribadito in una lunga intervista in cui ha delineato il percorso cui mercoledi’ prossimo la direzione nazionale dovra’ dare il via libera: chiedere al Capo dello Stato di affidargli l’incarico, presentarsi alle Camere e “chiedere la fiducia a chi ci sta”.
Ma gli appelli alla “corresponsabilita’” inviati al Movimento 5 Stelle finora sono sempre tornati indietro e con toni non proprio concilianti, in un rimpiattino che Matteo Renzi ha criticato rompendo il silenzio post-elettorale.. Il braccio destro di Beppe Grillo, Gianroberto Casaleggio, ha ribadito che l’M5S “non votera’ mai la fiducia a un governo”. E il leader del Movimento 5 Stelle ha accusato il Pd di avere aperto “il mercato delle vacche” nel tentativo di conquistare il sostegno di singoli parlamentari grillini. Sospetti respinti dal Pd: “Nessuna trattativa ne’ calcoli sottobanco”, ha chiarito il partito, “il Pd gioca a viso aperto”. Quella di un governo di minoranza resta un’incognita, ma e’ l’unica mossa che Bersani valuta e su cui chiedera’ il sostegno del partito che pero’ e’ in agitazione. Altre idee, per esempio un governo di larghe intese, Bersani non e’ disposto a prendere in considerazione. “L’ipotesi delle larghe intese non esiste e non esistera’ mai”, ha assicurato, sarebbe “la morte del Pd”. Non cosi’ pero’ per molti dirigenti del partito che di la’ dalla ribadita lealta’ al segretario gia’ disegnano futuri scenari. E piu’ d’uno, pur riconoscendo i rischi della ‘malattia-governissimo’ preferisce tentare di allungare la degenza nella speranza che il paziente Pd si riprenda. L’idea che circola con piu’ insistenza e’ quella di un governo tecnico o del presidente, anche se c’e’ chi come Antonello Giacomelli e Michele Emiliano insiste per mettere Grillo con le spalle al muro indicando lui come premier. Si fanno anche nomi di possibili candidati ma uno di loro, Renzi, oggi ha negato di essere interessato. “Cio’ che volevo per l’Italia l’ho detto per le primarie. Ho perso. Adesso faccio il sindaco”, ha assicurato smentendo alcune ricostruzioni di stampa. Ma nel merito di quanto sta accadendo e’ stato piuttosto netto. Intanto, ha detto, “il centrosinistra ha perso le elezioni”. Poi “e’ sbagliato e dannoso inseguire Beppe Grillo sul suo terreno, quello delle dichiarazioni a effetto – ha sottolineato – bisogna rimettersi in sintonia con gli italiani, non giocare al compro baratto e vendo dei seggi grillini”. Ma Renzi, che alla vigilia della direzione ha convocato i suoi parlamentari a Firenze, ha ribadito lealta’ al segretario. “Io ho combattuto Bersani a viso aperto quando non lo faceva nessuno, guardandolo negli occhi. Non lo pugnalo alle spalle oggi”, ha detto. Al Nazareno hanno apprezzato, ma del resto non sfugge a nessuno che conviene allo stesso Renzi restare in panchina e scendere in campo solo in una situazione chiara. Bruciare una risorsa non conviene neppure al partito. Su cosa succedera’ nelle prossime settimane nessuno scommette. Intanto Bersani dovra’ avere un mandato netto e poi si aprira’ la partita della presidenza delle due Camere, con le elezioni fissate per il 15 marzo, dopo che il Pd ha offerto alle forze di opposizione la corresponsabilita’ nelle istituzioni. Cruciale e’ la partita del Senato dove il Pd non ha la maggioranza assoluta. Se l’M5S dovesse insistere sulla linea della non collaborazione e rifiutare la presidenza della Camera, a quel punto ai democratici converrebbe tenersi Palazzo Madama, per arginare il rischio Vietnam, e lasciare Montecitorio al Pdl o ai centristi. I passaggi istituzionali dovrebbero consentire di chiarire un po’ il quadro sulla tenuta di un governo di minoranza. Valutazione che spettera’ al Quirinale e forse non solo all’attuale Presidente della Repubblica ma anche al suo successore se la crisi dovesse prolungarsi, con le ipotesi in campo di voto anticipato o governo tecnico. Il segretario, che ha sentito Giorgio Napolitano solo all’indomani delle elezioni e con cui non avrebbe avuto altri contatti, e’ convinto di avere i titoli per ricevere un incarico, forte della maggioranza assoluta alla Camera e relativa al Senato. “Non ci sono subordinate”, hanno assicurato al Nazareno, “chi le suggerisce cerca una rivincita congressuale”. Eppure le voci si rincorrono. Un governo-ponte anche di larghe intese consentirebbe ai fare in qualche mese quelle riforme indispensabili per fermare la valanga grillina e impedire che piombi in Italia la ‘troika’ dell’Ue e imponga la cura-Grecia. Dunque si dovrebbe affrettare il passaggio parlamentare dei tagli ai costi della politica, di misure per la crescita, di un nuovo assetto istituzionale. E della legge elettorale, con la possibilita’ che si punti su un semipresidenzialismo con doppio turno alla francese. Certo per questo passaggio sarebbe indispensabile un accordo con il Pdl, o per larghe intese su un governo politico o per l’appoggio a un esecutivo tecnico sul modello Monti. C’e’ chi sostiene che se il ciclo economico migliorasse e le riforme ‘grilline’ stavolta davvero si facessero sarebbe piu’ facile far capire agli elettori un rinnovato asse con il Pdl. Ma c’e’ anche chi, tra i parlamentari, non e’ per nulla disposto a rimettere la faccia in un accordo con Silvio Berlusconi con il rischio che alla fine, come e’ accaduto con Monti, a pagare il conto sia di nuovo e solo il Pd. Meglio allora andare a votare, con la consapevolezza che la parabola di Grillo e’ ancora nella fase ascendente ma con il nuovo argomento elettorale che a far fallire il tentativo di fare riforme sulla carta condivise dall’M5S e’ stato proprio il suo padre fondatore.