Il colpo di scena è la clamorosa retromarcia di Silvio Berlusconi: il Pdl – dice il Cavaliere in aula – vota la fiducia al governo Letta. Un dietrofront “non senza interno travaglio” ammette l’ex premier, visto che il gruppo del Senato questa mattina aveva deliberato il contrario. E che certifica nei fatti la resa di Berlusconi ai cosiddetti dissidenti. I numeri per far continuare il governo Letta a Palazzo Madama, infatti, già c’erano: grazie ai 23 firmatari di una mozione a sostegno dell’esecutivo, provenienti dal Pdl e Gal.
Addirittura 35 i dissidenti secondo Roberto Formigoni. In ogni caso “una nuova maggioranza” come aveva prontamente certificato Dario Franceschini. Uno smottamento nel centrodestra che – sempre secondo Formigoni -, uno degli aderenti alla fronda, avrebbe potuto portare alla formazione di un nuovo gruppo a Palazzo Madama. “I destini sono separati” – erano state anche le parole laconiche di Mariastella Gelmini. Poi Berlusconi spariglia tutto. Ma il partito resta nel caos, visto che poi a sfilarsi sono i più duri. Come Sandro Bondi che polemico dopo l’intervento del capogruppo Pd, Zanda, commenta: “Fa bene a trattarci con disprezzo”. Mentre le cosiddette colombe cantano vittoria.
“Chi ha gridato traditori, lo dirà anche a Berlusconi?”, si chiede Maurizio Lupi, che poi frena sui nuovi gruppi: “Abbiamo ritrovato l’unità”. In ogni caso sembra concretizzarsi l’auspicio di Enrico Letta, in una giornata – dirà il premier – dai risvolti storici e drammatici. “Una fiducia non contro qualcuno. Ma per l’Italia e gli italiani”. E’ l’appello con il quale il presidente del Consiglio chiude il suo discorso: 50 minuti per chiedere all’aula di dare il via libera al governo. Con una citazione finale di Benedetto Croce: “Ciascuno di noi ora si ritiri nella sua profonda coscienza e procuri di non prepararsi, col suo voto poco meditato, un pungente e vergognoso rimorso”. Parole che chiudono un intervento nel quale il premier mette al centro costantemente le esigenze del Paese. “Gli italiani ci urlano la voglia di cambiamento”, ha sottolineato Letta. Che in apertura cita anche Luigi Einaudi. “L’Italia corre un rischio che potrebbe essere fatale – afferma il premier -, sventare questo rischio dipende da noi, dalle scelte che assumeremo, dipende da un sì o un no”.