Il Governo Monti, causa tempi stretti, ha partorito una manovra che ha il pregio di riavvicinare l’Italia al pareggio di bilancio e all’Europa – come dimostra la retromarcia degli spread di ieri – ma fatica ancora, complici i tempi stretti, a tener alta la bandiera dell’equità. Certo, come ha detto il premier, i sacrifici non riguardano solo “i soliti noti”: l’aumento dell’Iva colpisce sia i contribuenti virtuosi che i furbetti del fisco, ci sono l’una tantum sui capitali rientrati con lo scudo e la stangata su yacht, elicotteri e auto di lusso (gettito, va detto, poche decine di milioni). Mentre il ritorno sotto mentite spoglie dell’Ici e l’aumento degli estimi catastali spostano dal reddito al patrimonio il carico dei sacrifici.
Il risultato finale però è uguale: a cantare e portare la croce, anche nell’era del governo tecnico, sono sempre gli stessi. Il costo medio per famiglia del decreto “Salva-Italia” – ha calcolato l’ufficio studi della Cgia di Mestre – sarà di 635 euro, mentre secondo le stime delle associazioni dei consumatori arriverebbe addirittura a 1700 euro. Ma proprio i provvedimenti “lineari” nati per spalmare la manovra sulle spalle di tutti hanno il paradossale effetto di penalizzare di più chi già ha il fiato corto: i lavoratori dipendenti che guadagnano di meno. I casi elaborati dal think tank degli artigiani lagunari che riportiamo di seguito parlano da soli: il conto finale della stangata per una famiglia con il reddito inferiore ai 30mila euro è (in proporzione) superiore del 15% rispetto a chi di euro ne guadagna 50mila e addirittura del 60% a quello di una famiglia nelle cui tasche ne entrano 150mila, sfuggita in zona Cesarini all’aumento delle aliquote Irpef.