A fotografare meglio il momento di smarrimento ed incertezze sul futuro in cui regna il Popolo della Libertà è Silvio Berlusconi. Il Cavaliere, a Bruxelles per il vertice dei leader del Ppe, mette a nudo i suoi dubbi: “Non so se resterò in campo”. Una frase, che lascia spazio a varie interpretazioni, ma che evidenzia le difficoltà in cui per primo si trova l’ex presidente del Consiglio alle prese con un partito da ‘ridisegnare’ e indeciso su ‘cosa fare da grande’. L’idea di candidarsi di nuovo alla guida del governo, nonostante lo affascini, sembra non rientrare più nei progetti tant’é non esita a smentirlo.
Parole chiare anche nei confronti di indiscrezioni apparse oggi su alcuni quotidiani che lo vorrebbero pronto a radere al suolo il gruppo dirigente del Pdl: “Tutte falsità”, è l’accusa rivolta in particolare a Repubblica “un giornale che fa politica, ostile a noi”. Una precisazione che arriva dopo un pressing iniziato dalle prime ore del mattino a palazzo Grazioli e che aveva causato le dimissioni, poi rientrate, di Sandro Bondi da coordinatore. Berlusconi ha rassicurato il diretto interessato così come lo stato maggiore pidiellino riunito in un vertice prima della partenza per la capitale belga. Il Cavaliere avrebbe corretto il tiro sull’idea di azzerare l’organigramma ma mettendo bene in chiaro, basandosi proprio sull’esempio delle amministrative, che il partito tradizionale non ha più attrattiva. Sarà poi lo stesso segretario, su richiesta dei suoi fedelissimi a rincarare la dose stigmatizzando il tentativo di delegittimare il Pdl e puntando anche il dito contro eventuali scissioni interne con “uno spezzatino” che non aiuta i moderati. Già, ma al di là delle dichiarazioni ufficiali, i dubbi su cosa voglia fare realmente Berlusconi accrescono la tensione. La consapevolezza del gruppo dirigente, a partire dai cosiddetti ‘quarantenni’ è che per un uomo abituato ad essere sulla cresta dell’onda ed in prima linea come il Cavaliere sia complicato pensare di non essere più centrale nella politica. Difficile quindi chiedere all’ex premier di uscire di scena. La descrizione dunque è sempre quella di un Berlusconi che ragiona su più tavoli: con i ‘falchi’ si dice pronto a rimettersi in gioco attivamente; ragionamento totalmente opposto con l’ala più moderata a cui l’ex capo del governo non nasconde la ‘stanchezza’ di dover sempre mediare tra le anime del partito. E proprio dando retta alle cosiddette colombe che vanno lette le parole del capo dell’ex capo del governo pronto a “fare il necessario per il bene dei moderati”. Un invito al “senso di responsabilità” che il Cavaliere rivolge a quanti, Casini in testa, fanno parte del partito popolare europeo e che dovrebbero evitare di “consegnare il Paese alla sinistra”. Lo sguardo è a Casini, ma devia sempre di più verso Luca Cordero di Montezemolo a cui Berlusconi, sì, confida di aver “sconsigliato” di scendere in politica, ma che subito dopo colloca tra le fila (o anche alla guida) dei moderati. Ma, il diretto interessato ribadisce il suo niet a alleanze gattopardesche. Un ‘no’ che il gruppo dirigente pidiellino sa bene essere condizionato dalla presenza o meno sulla scena del Cavaliere. Ecco perché il pressing nei confronti di Alfano è chiaro: Abbia il coraggio di puntare i piedi perché solo un segretario legittimato può intavolare un dialogo serio non solo con il presidente della Ferrari, ma anche con Roberto Maroni. A quel punto, è la convinzione di chi non vede altre strade ad una federazione di moderati, Casini si troverebbe all’angolo. Il nodo da sciogliere, oltre a quello sulle ambizioni di Berlusconi, le alleanze, riguarda la legge elettorale. Il documento che presenterà Alfano conterrà la richiesta rivolta al Pd di modificare non solo il Porcellum insieme alla Costituzione. Il modello a cui si guarda è la Francia, esempio che troverebbe troverebbe consenso nei Democratici, convinti che così si difenda il bipolarismo.